Conferenza 20 marzo 2019 “Il bene di vivere ed il diritto di non soffrire: il testamento biologico”

Fr. Riccardo Lufrani • apr 22, 2019

Riflessioni sulla Legge 22 dicembre 2017, n. 219 (GU 16.1.2018)

Conferenza data per l’Accademia Angelico Costantiniana di lettere arti e scienze (Angelo-Comneno Onlus) mercoledì 20 marzo 2019, Sala Pompeo, Palazzo Spada – Consiglio di Stato, Roma, fr. Riccardo Lufrani OP

Introduzione

Quando ho detto a un mio confratello, eminente teologo, che avrei parlato, a questo stimato ed autorevole consesso, riguardo alle questioni legate al fine vita, per sdrammatizzare sia l’augusta atmosfera in cui mi sarei ritrovato sia la tremenda questione della morte, mi ha consigliato di esordire dicendo: “Abbiate un po’ di pazienza! Prima o poi ci arriveremo tutti!”.

Mi sono permesso di fare questa battuta per evidenziare l’aspetto che più di ogni altro ci accomuna tutti, qualsiasi sia la nostra visione del mondo, e cioè il nostro destino comune: l’ineluttabilità della morte! Almeno fino a quando le tecnoscienze non riusciranno a rinchiuderci dentro quella prigione escatologica che sarebbe il prolungamento all’infinito della vita terrena.

Questo comune destino è forse la causa principale della convergenza di vedute, e spesso anche di terminologia “teologica”, che ha caratterizzato molte dichiarazioni di voto nell’iter di approvazione della legge 219 del 22 dicembre 2017. Ci ritorneremo.

Nel mio modesto contributo, tenterò di presentare la posizione della Chiesa Cattolica riguardo alla questione del fine vita e di evidenziare quello che, a mio avviso, sia una tendenza molto positiva che caratterizza la nostra epoca: il ritorno al realismo filosofico, maturato durante la lunga parentesi idealista che, grazie a Dio, sta esaurendo il suo contraddittorio tentativo di interpretare la realtà storica.

La vita

Molti malintesi ed incomprensioni derivano da concezioni diverse di una stessa realtà e per poter avere un dialogo veramente costruttivo è necessario comprendere la visione dell’interlocutore.

Cosa intende la Chiesa Cattolica quando parla di vita?

L’enciclopedia di bioetica e scienza giuridica ricorda che il concetto di vita “non può essere ristretto alla pura vitalità, alla continuità dei processi biochimici, ma abbraccia la totalità dell’esistenza fisico-psichico-spirituale dell’uomo e considera l’uomo nel rapporto con se stesso, con gli altri, con Dio, con il mondo. Il concetto di vita, quindi, «abbraccia non solo la vita fisica, ma la vita in tutti i suoi aspetti e in tutti i suoi tempi, anche quello che si prolunga oltre la vicenda terrena»”.(nota 1)

Per la Chiesa Cattolica la dignità assoluta della vita umana, “riconoscibile con la ragione da parte di tutti gli uomini, viene elevata ad un ulteriore orizzonte di vita, che è quella proprio di Dio, in quanto divenendo uno di noi, il Figlio fa sì che gli uomini possano diventare «figli di Dio» (Gv 1, 12), «partecipi della natura divina» (2 Pt 1, 4). (nota 2)

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1 Enciclopedia di Bioetica e Scienza Giuridica, vol. XII, 2017, p. 819.

2 Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, Nuova Carta degli Operatori Sanitari, 2016, III ristampa, 2017, p. 9.

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In altre parole, il fine, il senso stesso della vita umana è la divinizzazione dell’uomo attraverso la grazia della comunione con la stessa natura divina di Dio.


 

Come sostiene Sant’Agostino, Dio ci ha creati capax Dei , (nota 3 )cioè predisposti nella nostra natura alla comunicazione per grazia della natura divina, o, in termini filosofici, preordinati ad entrare in una sintesi religiosa con un Assoluto-che-salva, come afferma il filosofo Tommaso Demaria; sta a noi scegliere con quale Assoluto-che-salva entrare in sintesi, se con Dio, o con un altro Assoluto. A seconda dell’Assoluto-che-salva che consapevolmente o inconsapevolmente scegliamo, ne riceviamo la forma, divina, nel caso che scegliamo Dio, non divina, negli altri casi. (nota 4)

Inoltre, per guidarci in questa “operazione” di sintesi religiosa, Dio ci ha fornito anche del desiderio di divinità, che si declina nel desiderio di eternità, di onnipotenza, di onniscienza, di beatitudine, cioè di felicità perfetta. (nota 5)

Questa ultima affermazione, ci illumina sul tentativo più o meno esplicito di soddisfare, attraverso le tecnoscienze, questo desiderio di divinità iscritto, potremmo dire, nel DNA dell’uomo; sono i famosi tre Super dei Transumanisti: super-longevità, super-intelligenza e super-benessere.

Se facciamo il percorso inverso, e cioè partiamo dai tre Super appena citati, possiamo costatare come proprio i Transumanisti ci stiano indicando quali sono i desideri profondi dell’essere umano, avvalorando involontariamente quanto la dottrina della Chiesa afferma da sempre.

In questo contesto di divinizzazione naturalmente desiderata dall’essere umano, la tentazione di sostituirsi a Dio scompare in quanto tale, poiché, per chi non è cristiano, l’unico modo per cercare di soddisfare il desiderio di divinità, di realizzare la capacità di Dio di cui parlava Sant’Agostino, consiste necessariamente nel ricercarlo nell’uomo stesso, e cioè nello sviluppo delle tecnoscienze.

La dignità dell’essere umano, durante tutta la sua vita, terrena e celeste, è supremamente considerata dalla Chiesa Cattolica, e non è quindi sorprendente che si interessi con particolare attenzione alle questioni che riguardano il fine vita, dove la dignità della persona umana, è particolarmente esposta e fragile.

Il fine vita: consenso informato, terapia del dolore, disposizioni anticipate di trattamento, obiezione di coscienza.

Pubblicata dal Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari nel 2016, la Nuova Carta degli Operatori Sanitari, sebbene non esaustiva rispetto a tutte le questioni che riguardano la cura, offre delle chiare linee guida per affrontare i problemi etici correlati alla cura della vita umana, in armonia con gli insegnamenti della Chiesa. (nota 6)

Il numero 144 enuncia il principio portante delle indicazioni che seguono e che riguardano il fine vita: “Servire la vita significa per l’operatore sanitario rispettarla ed assisterla fino al compimento naturale. L’uomo non è padrone ed arbitro della vita, ma fedele custode; la vita è un dono di Dio, e quindi, è inviolabile e indisponibile.”

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3 S. Agostino, De Trinit. XIV, 8, PL 42, 1044.
4 Demaria, T., Scritti teologici inediti (LAS – Roma: Roma, 2017), 43.

5 Cf. CCC § 27-30.
6 Cf. Nuova Carta, p. 5.

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È interessante notare come molte delle indicazioni etiche contenute in questa parte della Nuova Carta corrispondano alle questioni che la legge 219 cerca di regolare.

Permettetemi di presentarvi alcune di queste indicazioni.

Partiamo dalle cure palliative: il n°. 147 afferma che “al malato in fase terminale della sua malattia vanno somministrate tutte le cure, che gli consentano di alleviare la penosità del processo del morire”, formulazione che corrisponde a quanto espresso nella legge 219 all’art. 2.1. (nota 7)

Il n°. 153, pur contemplando la libertà del paziente di non volere ricevere terapie analgesiche, afferma che “questo non costituisce una norma generale”, e quasi lo sconsiglia, ricordando che “molte volte … il dolore può diminuire la forza fisica e morale della persona”, basandosi sul discorso pronunciato nel 1957 da Papa Pio XII all’Assemblea Internazionali di medici e chirurghi, per poi specificare che è necessario il consenso del malato a ricevere le cure del dolore.

Il n°. 154 considera gli effetti collaterali e le complicazioni che l’uso di farmaci analgesici a dosaggi elevati provocano, potendo anticipare di fatto la morte del paziente, e afferma che vanno “prescritti in modo prudente e lege artis”, per poi citare il CCC § 2279, che recita: “L’uso di analgesici per alleviare le sofferenze del moribondo, anche con il rischio di abbreviare i suoi giorni, può essere moralmente conforme alla dignità umana, se la morte non è voluta né come fine né come mezzo, ma è soltanto prevista e tollerata come inevitabile”. (nota 8)

Per fugare ogni dubbio morale riguardo all’anticipazione della morte dovuto all’uso di questi farmaci, il n°. 154 continua citando la Dichiarazione sull’eutanasia, della Congregazione della Dottrina della Fede del 1980: nel caso di uso di farmaci analgesici in forte dosaggio, “la morte non è voluta o ricercata in alcun modo, benché se ne corra il rischio per una ragionevole causa: si intende semplicemente lenire il dolore in maniera efficace, usando allo scopo quegli analgesici di cui la medicina dispone”. (nota 9)

Particolare attenzione è richiesta, afferma il n°. 155, nel caso di ricorso alla sedazione palliativa profonda, che implica la soppressione della coscienza, caso esplicitamente previsto anche nella legge 219 all’Art. 2.2-3. (nota 10)

Secondo la Nuova Carta, la sedazione palliativa profonda, previo consenso del malato e l’opportuna informazione ai famigliari, deve escludere ogni intenzionalità eutanasica e dopo che il malato abbia potuto soddisfare i suoi doveri morali, famigliari e religiosi.

L’Art. 2.2. della 219, se richiede il consenso del malato alla sedazione profonda, non menziona però l’opportuna informazione alle persone vicine al malato, trascurando le implicazioni relazionali dell’assenza di un ultimo scambio con i cari del malato, quando questo fosse ancora possibile.

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7 “Il medico, avvalendosi di mezzi appropriati allo stato del paziente, deve adoperarsi per alleviarne le sofferenze, anche in caso di rifiuto o di revoca del consenso al trattamento sanitario indicato dal medico. A tal fine, è sempre garantita un’appropriata terapia del dolore, con il coinvolgimento del medico di medicina generale e l’erogazione delle cure palliative di cui alla legge 15 marzo 2010, n. 38.” Art. 2.1.

8 Il CCC § 2279 arriva ad affermare che: “Le cure palliative costituiscono una forma privilegiata della carità disinteressata. A questo titolo devono essere incoraggiate”
9 Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione sull’eutanasia, III: AAS 72 (1980), 548.
10 “Nei casi di paziente con prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte, il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili o sproporzionati. In presenza di sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari, il medico può̀ ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua in associazione con la terapia del dolore, con il consenso del paziente.” Art. 2.2; “Il ricorso alla sedazione palliativa profonda continua o il rifiuto della stessa sono motivati e sono annotati nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico.” Art. 2.3.

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Anche il principio definito del “consenso informato” nella legge 219 (Art. 1. 1-11) è diffusamente presente nella Nuova Carta, e trattato specificamente nei numeri 156-158, dove, per il genere letterario diverso da quello di una legge, si esplicita quello che nella 219 viene chiamata sinteticamente “relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico” (Art. 1.2), definendola più profondamente come una relazione solidale, relazione di condivisione e di comunione, dove il malato “non è solo con il suo male: si sente compreso nella verità, riconciliato con sé e con gli altri. Egli è se stesso come persona. La sua vita, malgrado tutto, ha un senso, e si dispiega in un orizzonte di significato inverante e trascendente il morire”. (nota 11)

Nel dibattito parlamentare, una questione che ha polarizzato le posizioni e le conseguenti dichiarazioni di voto è stata quella dell’alimentazione e dell’idratazione artificiale, che nella legge 219 sono definite come “trattamenti sanitari … in quanto somministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici” (Art. 1.5). Così definiti, pare che sia l’artificialità del tipo di somministrazione, che richiede una prescrizione medica, a costituire l’essenza ontologica dell’alimentazione e dell’idratazione artificiale, facendo perdere loro l’essenza di necessità biologiche che, se interrotte, portano necessariamente alla morte.

In effetti, classificandoli come “trattamenti sanitari”, la legge dà facoltà al paziente (o a chi ne ha la responsabilità secondo la legge) di chiederne l’interruzione, come con qualsiasi altro trattamento farmacologico o di altra natura, (nota 12) e questo potrebbe costituire un atto eutanasico, al quale, peraltro, il medico non può opporsi, come determina l’Art. 1.6. (nota 13)

Ciò crea un insuperabile problema di libertà per il medico che non voglia compiere atti eutanasici, di fatto mettendolo contro la legge, nel caso si rifiutasse di sospendere l’alimentazione e/o l’idratazione artificiali, se espressamente richieste dal malato o dai suoi legittimi rappresentanti.

La posizione della Chiesa espressa nella Nuova Carta riguardo all’alimentazione e all’idratazione artificiali è decisamente più articolata, poiché lascia un margine di manovra nel discernimento tra l’accanimento terapeutico e l’atto eutanasico, margine che il legislatore sembra avere trascurato. (nota 14)

 

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11 Nuova Carta, n°. 158.
12 “Ai fini della presente legge, sono considerati trattamenti sanitari la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale, in quanto somministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici. Qualora il paziente esprima la rinuncia o il rifiuto di trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza, il medico prospetta al paziente e, se questi acconsente, ai suoi familiari, le conseguenze di tale decisione e le possibili alternative e promuove ogni azione di sostegno al paziente medesimo, anche avvalendosi dei servizi di assistenza psicologica.” Art. 1.5.
13 “Il medico è tenuto a rispettare la volontà̀ espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo e, in conseguenza di ciò̀, è esente da responsabilità̀ civile o penale. Il paziente non può̀ esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali; a fronte di tali richieste, il medico non ha obblighi professionali.” Art. 1.6.
14 La Nuova Carta tratta dell’accanimento terapeutico ai n°. 149-150. In particolare, nel n°. 150 afferma: “Nell’imminenza di una morte inevitabile nonostante i mezzi usati, è lecito in coscienza prendere la decisione di rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita, senza tuttavia interrompere le cure normali dovute all’ammalato in simili casi”. Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione sull’eutanasia, IV: AAS 72 (1980), 551.

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Il numero 152 recita infatti: “La nutrizione e l’idratazione, anche artificialmente somministrate, rientrano tra le cure di base dovute al morente, quando non risultino troppo gravose o di alcun beneficio. La loro sospensione non giustificata può avere il significato di un vero e proprio atto eutanasico: «la somministrazione di cibo e acqua, anche per vie artificiali, è in linea di principio un mezzo ordinario e proporzionato di conservazione della vita. Essa è quindi obbligatoria, nella misura in cui e fino a quando dimostra di raggiungere la sua finalità propria, che consiste nelprocurare l’idratazione e il nutrimento del paziente. In tal modo si evitano le sofferenze e la morte dovute all’inazione e alla disidratazione»”. (nota 15)

Il criterio dirimente nel distinguere tra accanimento terapeutico e atto eutanasico proposto dalla Chiesa è quello della finalità propria dell’alimentazione e dell’idratazione, criterio questo, che lascia la libertà di discernimento ai soggetti della relazione di cura per determinare quando queste cure dovute “risultino troppo gravose e di alcun beneficio”.

La facoltà del medico di non compiere atti per lui contrari alla morale sarebbe stata preservata se la formulazione dei comma 5 e 6 dell’Art. 1 fosse stata rispettosa della libertà di tutti. Come osservato da un Senatore durante la sua dichiarazione di voto, seguire la propria coscienza non sospendendo l’alimentazione e l’idratazione artificiali, se richiesto dal malato o da un suo responsabile, nelle varie forme previste dalla norma, farebbe perdere al medico anche la copertura assicurativa, mettendolo in una situazione di estrema difficoltà, e questa è un’ulteriore forma di limitazione della libertà.

Nei casi in cui un medico si troverà nel dilemma di dover rispettare la legge 219 o seguire la propria coscienza e pagarne le conseguenze, la Nuova Carta offre le linee guida da seguire, valide, a mio avviso, anche per i non credenti.

L’articolo 151 legge: “Nessun operatore sanitario, dunque, può farsi tutore esecutivo di un diritto inesistente, anche quando l’eutanasia fosse richiesta in piena coscienza dal soggetto interessato. Inoltre, «uno Stato che legittimasse tale richiesta e ne autorizzasse la realizzazione, si troverebbe a legalizzare un caso di suicidio-omicidio, contro i principi fondamentali dell’indisponibilità della vita e della tutela di ogni vita innocente», ponendosi dunque «radicalmente non solo contro il bene del singolo, quanto contro il bene comune e, pertanto [tali legalizzazioni] (n.d.r.) sono del tutto prive di autentica validità giuridica». Simili legalizzazioni cessano di essere una vera legge civile, moralmente obbligante per la coscienza, sollevando piuttosto «un grave e preciso obbligo di opporsi ad esse mediante l’obiezione di coscienza».

Al riguardo, i principi generali circa la cooperazione ad azioni cattive sono così riaffermati: «I cristiani, come tutti gli uomini di buona volontà, sono chiamati, per un grave dovere di coscienza, a non prestare la loro collaborazione formale a quelle pratiche che, pur ammesse dalla legislazione civile, sono in contrasto con la Legge di Dio. Infatti, dal punto di vista morale, non è mai lecito cooperare formalmente al male. Tale cooperazione si verifica quando l’azione compiuta, o per la sua stessa natura o per la configurazione che essa viene assumendo in un concreto contesto, si qualifica come partecipazione diretta ad un atto contro la vita umana innocente o come condivisione dell’intenzione morale dell’agente principale. Questa cooperazione non può mai essere giustificata né invocando il rispetto della libertà altrui, né facendo leva sul fatto che la legge civile la prevede e la richiede: per gli atti che ciascuno personalmente compie esiste, infatti, una responsabilità morale a cui nessuno può mai sottrarsi e sulla quale ciascuno sarà giudicato da Dio stesso (cfr. Rm 2, 6; 14, 12)»”.

Legate alla questione dell’obiezione di coscienza sono anche quelle che la legge 219 chiama Disposizioni anticipate di trattamento (DAT) (Art. 4), a cui la Nuova Carta si riferisce nel n°. 150, affermando: “la rinuncia a … trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita, può anche voler dire il rispetto della volontà del morente, espressa nelle dichiarazioni o direttive anticipate di trattamento, escluso ogni atto di natura eutanasica.

 

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15 Congregazione per la Dottrina della Fede, Responsa ad quaestiones ab Episcopali Conferentia Foederatorum Americae Statuum propositas circa cibum et potum artificialiter praebenda (1 agosto 2007): AAS 99 (2007), 820.

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Il paziente può esprimere in anticipo la sua volontà circa i trattamenti ai quali desidererebbe o no essere sottoposto nel caso in cui, nel decorso della sua malattia o a causa di traumi improvvisi, non fosse più in grado di esprimere il proprio consenso o dissenso. «Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza è la capacità, o altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente».

Il medico non è comunque un mero esecutore, conservando egli il diritto e il dovere di sottrarsi a volontà discordi dalla propria coscienza”.

Nella legge 219, inoltre, ci sono diverse indeterminatezze riguardo a chi debba prendere le decisioni nel caso di incoscienza o incapacità o di minore età del malato, nonché perplessità sulla realizzazione di un registro nazionale delle DAT, e anche sulla validità pratica delle DAT nel contesto dell’attuale sviluppo tecno-scientifico che, modificando sempre più rapidamente e radicalmente le conoscenze e le condizioni, può presentare al momento cruciale uno scenario terapeutico molto diverso da quello in cui le DAT siano state redatte e registrate.

Forse alcune di queste lacune della legge avrebbero potuto essere evitate, se al Senato non fossero stati imposti modalità e tempi che hanno di fatto impedito un normale iter parlamentare, come molti Senatori hanno avuto modo di sottolineare nei loro interventi in aula.

Un altro aspetto che la legge 219 non riesce a regolare in modo soddisfacente è la relazione tra malato e famigliari, nel caso in cui, ormai redatte le DAT e perso lo stato cosciente, il medico sia obbligato a compiere le volontà espresse nelle DAT stesse, secondo le norme di legge, congelando di fatto l’interazione relazionale dei famigliari (e amici) con il malato che continua a essere vivo, anche se non cosciente. Una testimonianza di questa fredda “meccanizzazione” del passaggio cruciale della morte, che può ferire profondamente le persone a contatto col dramma della morte di un loro caro, l’ha data indirettamente Michele Gesualdi, affetto dalla terribile Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), nel suo appello ai presidenti delle Camere e ai Capogruppo al Senato, letto in aula da una senatrice favorevole alla legge 219.

Gesualdi, che alla fine del suo discorso chiede l’approvazione della legge che regola il fine vita, racconta però un fatto che illustra bene il problema che la legge non solo non regola, ma impedisce: “Se accettassi i due interventi invasivi [per la respirazione e l’alimentazione artificiali] (ndr), mi ritroverei uno scheletro di gesso con due tubi, uno infilato in gola con attaccato un compressore d’aria per muovere i polmoni e uno nello stomaco, attraverso il quale iniettare pappine alimentari. Per quanto mi riguarda, in modo molto lucido ho deciso di rifiutare ogni inutile intervento invasivo e ho scritto la mia decisione, chiedendo a mia moglie di mostrarla ai medici affinché rispettino la mia volontà. Quando mia moglie e i miei figli mi hanno visto ridotto a uno scheletro dovuto alle difficoltà di deglutire, mi hanno implorato di accettare almeno l’intervento allo stomaco per essere alimentato artificialmente, perché sarebbe stato un dono anche un solo giorno in più che restavo con loro. Questo mi ha messo in crisi e ho ceduto, anche per sdebitarmi un po’ nei loro confronti.” (nota 16)

Mi riferisco qui alla frase “Quando mia moglie e i miei figli mi hanno visto ridotto a uno scheletro dovuto alle difficoltà di deglutire, mi hanno implorato di accettare almeno l’intervento allo stomaco per essere alimentato artificialmente, perché sarebbe stato un dono anche un solo giorno in più che restavo con loro.”

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16 AA.VV.. Testamento biologico e consenso informato: Legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Italian Edition) Giappichelli Editore. Edizione del Kindle.

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Come possiamo sapere quali siano i tempi e le modalità di ognuno di noi di fronte alla morte nostra e dei nostri cari?

La legge 219 sembra privilegiare la libertà dell’individuo, ma in realtà privilegia l’individualismo, l’assoluto della libertà di un soggetto, senza tenere conto della imprevedibilità delle relazioni e quindi della libertà individuale di altri soggetti. Quindi risulta essere fortemente mutilata non solo la libertà del medico che non voglia sospendere l’alimentazione e l’idratazione artificiali, perché sarebbe un atto eutanasico, ma anche quella dei famigliari che, per buoni motivi, desiderassero poter restare ancora al capezzale del loro congiunto, anche se incosciente.

Quella che appare nella legge 219 è l’evidente contraddizione presente nelle società liberali individualiste che, nel tentativo di garantire al massimo la libertà dell’individuo, si scontrano necessariamente con la realtà dell’esistenza di altre libertà individuali che debbono allora essere trascurate. La scelta del legislatore porta implicitamente e ineluttabilmente su quali libertà individuali privilegiare e quali invece ignorare. E questo non solo nel caso della legge che stiamo qui considerando, ma per ogni legge che non tenga pienamente conto di quella realtà relazionale e di comunione che è la società umana. È pura utopia pretendere di rispettare i diritti individuali come fossero degli assoluti in un vuoto cosmico, quando la scienza stessa ci dice che il battito di ali di una farfalla in Papuasia innesca un ciclone nei Caraibi.

Il ritorno del realismo filosofico.

In realtà, il vero problema di fondo che emerge dalla nostra discussione è un problema puramente filosofico, e per chi è credente, teologico.

Giorgio La Pira, in un breve e chiaro saggio, Premesse della Politica (1945), (nota 17) mostra come, partendo da tre sistemi metafisici diversi, tre Weltanschauung, si arrivi necessariamente a tre sistemi statali diversi: alla dittatura razzista con Hegel, alla dittatura comunista con Marx e alla democrazia liberal-capitalista con Rousseau che, prevede bene La Pira, finirà con concentrare in poche mani il potere economico e quello politico, con la conseguente perdita di libertà e di eguaglianza che Rousseau voleva invece assicurare con il contratto sociale. (nota 18)

La Pira ripete lo stesso percorso logico per ognuna delle tre visioni del mondo, mostrando chiaramente come, a partire da premesse diverse, si arrivi necessariamente a tre modelli di società diversi, che sono quelli che ho appena citato.

Con uno slogan si potrebbe dire: dimmi che metafisica hai e ti dirò che stato costruirai.

Come tutti possiamo costatare, la nostra società e il nostro Stato tendono sempre più al modello liberale individualista, e siamo oramai arrivati alla evidenza che la previsione filosofica di La Pira era corretta.

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17 La Pira, G., Premesse della politica e architettura di uno stato democratico (Libreria editrice fiorentina: Firenze, 2004).

18 “Il difetto di base di R. qui riappare: la dissociazione della libertà dalla legge: come l’economia così la politica dello Stato di R. è affetto da questa infermità radicale. E questa dissociazione produce, in concreto, compressione dei deboli. In uno Stato che abbia come suprema finalità la tutela della libertà individuale sic et simpliciter avverrà ineluttabilmente quello che è avvenuto nella società borghese: I più forti operandi più deboli: E, quindi, le classi economicamente forti diverranno le classi politicamente dirigenti – perché si fa presto a formare e da manovrare una maggioranza! – e queste classi dirigenti, non vincolate da nessuna norma di etica politica economica, instaureranno proprio quella tirannia politica e, quindi, proprio quella deficienza di libertà e di eguaglianza per evitare la quale Rousseau aveva escogitato il suo contratto sociale!”, Ib. p. 127-8.

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La filosofia che sta alla base delle visioni del mondo è molto più determinante di quanto in genere si pensi!

La nostra società liberal-democratica-capitalista sta arrivando alla sua maturità, portando alle estreme conseguenze le premesse (indimostrabili) della filosofia che ne costituisce la Weltanschauung di fondo, certo non quella monolitica di un singolo filosofo, ma quella abbastanza coerente di una linea continua che lega Cartesio, Rousseau, Kant e Hegel (nota 19) alla lunga parabola di quell’idealismo filosofico che porta oggi i suoi frutti maturi, quali la concentrazione del potere, la perdita delle libertà individuali, il relativismo che annulla ogni tentativo di conciliazione di posizioni diverse nella ricerca del bene comune, (concetto quest’ultimo che perde sempre più il suo valore centrale nella nostra società individualista e, viste le premesse, come non potrebbe?), il controllo sempre più orwelliano dei patron dei Big Data in Occidente e dello Stato Totalitario Comunista Cinese, campione di quello che gli studiosi di filosofia politica chiamano il Capitalismo Autoritario, con il già funzionante Social Credit System.

Ma allora, siamo ineluttabilmente votati a finire spossessati di ogni libertà e dignità a causa della visione del mondo che domina nella nostra società? Magari sostituiti da sempre più efficienti robot ed algoritmi, o divisi in una ristretta élite di “Gods” transumanisticamente modificati e una massa di “Useless” fermi alla condizione umana “naturale”, come prevede tra gli altri lo storico Harari? (nota 20)

Il fallimento dell’idealismo nell’interpretare la realtà, affatto sorprendente, vista la posizione dell’idealismo stesso riguardo alla realtà, ha portato al ritorno del realismo filosofico, a un cosiddetto nuovo realismo che si vorrebbe svezzato, per così dire, grazie alla lunga parentesi idealista, e che sta muovendo i suoi primi ed esitanti passi, tra tentazioni retrotopiche e difficoltà nell’interpretare la dinamicità della realtà storica, esercizio in cui l’idealismo di Hegel invece è stato campione, anche se con un’interpretazione sbagliata.

In realtà, una metafisica realistico-dinamica che renda conto della realtà storica, a mio modesto parere, è già stata sviluppata dal filosofo che ho citato prima, Tommaso Demaria, morto nel 1996, filosofia che purtroppo è stata ignorata perché all’epoca era follia per i filosofi fenomenologi allora di moda, e scandalo per i filosofi tomisti, inchiodati al medioevo.

Conclusione .

Vorrei concludere con una nota di speranza, costatando come le tecnoscienze ci stiano portando sempre di più verso il realismo. Ad esempio, quando si vuole costruire un robot che possa interagire con la realtà, siamo costretti a definire le essenze delle cose; pensiamo ai robot empatici, che, per poter funzionare efficacemente, debbono “sapere” oggettivamente cosa sono le emozioni; non è sorprendente che i tecno-scienziati lavorino sempre più spesso insieme a filosofi.

Ma pensiamo anche alla realtà della vita, e in particolare alla sua fine terrena alla quale, per adesso, siamo tutti destinati: l’assoluto di questo passaggio cruciale ci obbliga a cercare insieme cosa siano realmente la vita e la morte, a trovare una comprensione comune che ci permetta di renderle il più dignitose possibile per tutti: la vita e la morte, nella loro irriducibile realtà, ci costringono a incontrarci e a cercare di capirci.

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19 Cf. Rang M., J.J. Rousseaus Lehre vom Menschen (Vandenhoeck & Ruprecht: Göttingen, 1959).
20 Harari, Y.B., Homo Deus. A brief History of Tomorrow (Harvil Secker: London, 2016), Kindle edition, pos. 5642.


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Autore: Redazione 25 apr, 2024
Il filosofo o lo studioso che si occupa di realismo integrale diviene di necessità anche un apostolo, perché l’impegno con l’essere della realtà storica lo rende persuaso della necessità della cultura-conoscenza come via necessaria all’azione politico-sociale [1] . E’ con questo spirito che mi accingo da filosofo non accademico a ripercorrere, con gli adeguati riferimenti bibliografici, i contenuti della relazione che ho tenuto un po’ a braccio il 21 marzo 2024 alla Pontificia Università Salesiana in occasione del convegno “ Tommaso Demaria: uno sguardo organico-dinamico sulla storia e sulla società .” L’essere della realtà storica appena accennato ci introduce al tema essenzialmente nuovo inaugurato da don Tommaso Demaria, essenzialmente diciamo ma non fenomenicamente poiché da questo punto di vista l’intuizione di molti ricercatori, per quanto non ancora riflessa a sufficienza, ha condotto molti a rendersi conto che il mondo in cui viviamo appare come una realtà globale, unitaria, interconnessa e in grado perciò di muoversi secondo logiche proprie e inesorabili che sfuggono perfino al controllo dei singoli potenti di turno. Discipline come la sociologia, la psicologia, le scienze dell’organizzazione ma anche la stessa economia rilevano da anni il fenomeno, tuttavia ancora manca alla cultura dominante una visione completa capace di dar conto di tutti gli aspetti in campo: materiali, relazionali, spirituali e metafisici. Lo scopo di questo discorso è quindi quello di stimolare una coscienza intorno all’essere della realtà, perché prima di agire occorre pensare e prima di pensare occorre essere, rendersi conto di essere e di vivere accanto ad altri esseri, perché l’essere precede l’agire non solo personale ma anche comunitario. Il percorso si articola in cinque passaggi che sono invero cinque domande: Di quale essere stiamo trattando? Una società ateo-materialista è in grado di prosperare o almeno sopravvivere? Cosa sono il pensiero unico, i grandi resets e il nuovo ordine mondiale di cui tanto si sente parlare? La ideologie sono tutte negative come tali oppure si deve tener conto del loro contenuto di verità? Possiamo indicare delle vie concrete? Sembra la prima una domanda fuori tempo massimo: a chi può mai interessare oggi un discorso sull’essere o sulla vita? La società liquida con i suoi deliri ha fatto evaporare ogni punto di riferimento stabile, ogni riscontro oggettivo: tutto cambia, tutto muta, tutto scorre, al più si può dire che tutto l’essere è il divenire stesso. Eppure la nebbia di una cultura nichilista pervasiva e invadente come quella moderna (per non dire modernista) non riesce a sopire completamente l’esigenza di essere, di senso e di significato che si scopre ancora incardinata nel cuore di ogni uomo. L’esperienza quotidiana carica di problemi enormi e di enormi opportunità ci catapulta nostro malgrado in un fluire di vicende storiche che non riusciamo a dominare e nemmeno a capire ma che in qualche modo contribuiamo a generare; il mondo va avanti anche con il nostro spesso inconsapevole sostegno e con logiche proprie; le leve del comando sono impersonali, occulte, segrete eppure reali, assegnate in modo oscuro ma lucido a guide concrete ma provvisorie e solo funzionali al perpetrarsi di un mondo che in fondo non vogliamo: la guerra torna a bussare inaspettata alla nostra porta. In questa profonda esigenza di essere, legata ad un perenne senso di malessere per un mondo che non capiamo, assume di nuovo un valore epocale tutta la riflessione di Demaria sulla Realtà Storica, tornando così potente, attuale e anzi necessaria. Quella che un tempo fu l’intuizione di un geniale metafisico oggi è esperienza concreta di molti uomini: la realtà storica appare davvero come un essere capace di vivere a agire a titolo proprio. La portata di questa intuizione comporta la richiesta teoretica di un’adeguata giustificazione: non ci può bastare il solo dato fenomenico anche se ormai di per sé evidente. Giustificazione che però non è possibile affrontare qui, ci basti per ora solo rilevare che alla griglia degli esseri oggetto della metafisica tradizionale e cioè l’uomo, la natura e Dio vi si aggiunge appunto anche l’essere della realtà storica che diventa tale, secondo il salesiano, a partire dalla rivoluzione industriale, imponendosi per di più come organismo dinamico vivo e perciò capace di vivere a agire a titolo proprio. [2] Sono affermazioni importanti che suscitano curiosità ma anche timori: se la realtà storica vive agisce a titolo proprio dove va a finire la libertà umana? La libertà, proprietà inalienabile della natura umana, è un bene prezioso e un dono esclusivo che ogni uomo e anche ogni società hanno ricevuto per scegliere cosa fare di sé stessi. Essa è talmente necessaria che la realtà storica come tale la esige a livello essenziale anche se purtroppo a livello esistenziale può accadere ed accade di fatto che la storia, animata da logiche contrarie al suo vero dover essere ontologico, finisca per negarla, reprimerla o falsarla, assoggettandola a scelte mortifere anziché vitali. Così avviene che se la realtà storica assume logiche contrarie alla sua vera natura e ciò avviene proprio in ragione della libertà umana, anche la comprensione di tutti gli altri esseri ne risulta influenzata e perfino deformata: la persona diventa fluida oppure un ingranaggio, la natura sfruttata o divinizzata, il Dio Creatore rifiutato o umanizzato, con enormi conseguenze sul piano dell’agire collettivo. Comprendere il vero dover essere della realtà storica diventa perciò imperativo decisivo proprio per poter orientare alla convivenza libera e funzionale la vita di miliardi di persone. Il negare questa prospettiva ci espone nostro malgrado ad un agire inconsulto e senza prospettiva e a lasciarci dominare dalla logica bruta di una materia orfana della forma vera, materia che per surrogazione finisce per alienare sé stessa nel ruolo di forma in una prassi senza senso perché in fondo senza retta dottrina, come direbbero i metafisici realisti di un tempo. Per questa via gli stessi cristiani e gli uomini di volontà buona [3] (cioè volontà orientata al bene) vanno a servire inconsapevoli la costruzione della società fondata sul materialismo che, secondo il salesiano, è l’anticamera dell’ateismo prima ontologico e poi religioso [4] . A questo punto qualcuno potrebbe obiettare che in fondo questo non è necessariamente un male, in fin dei conti anche le società ateo-materialiste, che sono quelle ormai realmente esistenti, possono funzionare se non bene almeno in modo accettabile. L’evidenza storica ci palesa tuttavia senza sconti che non è così e con questa affermazione iniziamo a rispondere alla seconda domanda. Gli “organismi mostro” incarnati dai sistemi capitalisti e comunisti e dai loro discendenti modernisti, fondati sull’assoluto ateo-materialista e così denominati da Demaria nel suo lungimirante testo La società alternativa [5] , stanno manifestando di nuovo oggi la rinnovata ferocia delle loro false premesse. In qualche modo essi vivono sempre a scapito di qualcos’altro: la natura, i poveri, la libertà, Dio stesso. E se queste società potessero anche risolvere (ma non possono!) gran parte dei problemi materiali che ci affliggono, resterebbe strutturalmente irrisolto il senso dell’esistere umano che fatalmente, rinchiuso nell’alveo della materia bruta, si tradurrebbe in un dramma suicida invece che in un’epica maestosa. E’ in questo clima illusorio che oggi si discute molto di pensiero unico, di grande reset, di nuovo ordine mondiale . Intanto mi viene da chiedere, perché cancellare tutto? Forse perché siamo talmente pieni di debito economico a livello mondiale che solo la sua cancellazione, con l’aiuto magari della guerra, può permettere di ripartire? E un’ipotesi che mi pare folle ma anche brutalmente realistica. Il martellamento mediatico proveniente da sponde spesso opposte ci dice altresì che non c’è una sola idea di “reset”, né una sola proposta di “pensiero unico”. Ce ne sono varie e in concorrenza tra loro, che si accusano a vicenda di complottismo, di seduzione, di violenza: capitalismo green, socialismo arcobaleno, socialismo capitalista, imperialismo misticheggiante (se non direttamente ateo-materialista almeno con un errato rapporto spirito/materia). Sono tante le prospettive di “Unico Ordine Mondiale” che si propongono come salvifiche. Ma tutto questo non è una novità , ciò che è cambiato sono solo le etichette, i nomi, le parole, ma la realtà che sottendono è sempre la medesima, quelle esplicitata dal nostro Demaria. L’esigenza di un nuovo ordine mondiale e di pensiero unico non sono che la riedizione aggiornata di quella pletora di ideologie, pseudoideologie e paraideologie che dalla rivoluzione industriale in poi cercano di dare un ordine al caos di una prassi diventata dinamica. Esse si scontrano, si fondono, si camuffano in un susseguirsi di morti e rinascite fino ad arrivare all’esito forse finale, denunciato da Benedetto XVI dell’ideologia del relativismo, che tutte le nega ma solo in fondo per affermare sé stessa, la più dogmatica. Ecco che quelle moderne, afferma Demaria, non sono più solo lotte fra popoli o nazioni ma lotte fra ideologie o meglio lotte fra ideoprassi. E in questa lotta reale per prevalere l’una sull’altra manifestano anche il loro tratto comune che le identifica e le inchioda: sono tutte prassi ontologicamente ateo-materialiste! Le uniche, ed è la storia a dirlo, che sono state in grado di portare l’umanità fin sull’orlo dell’auto-distruzione attraverso soprattutto la possibilità, oggi tornata concreta, della terza guerra mondiale nucleare. Eppure non si può fare a meno di una ideologia, cioè di una visione organica, integrale e coerente della vita umana che sappia coordinare l’agire di miliardi di persone; l’alternativa ad una qualche forma di ordine, ad una sorta prassi razionalizzata non è che la prassi selvaggia e il caos [6] . E’ stato questo l’intento della vita di Karl Marx ma anche dello stesso Adam Smith e di altri studiosi: scoprire la logica interna della storia. E cosa hanno concluso? Che la storia è materia che diviene o natura che evolve e che il cuore di questo divenire è l’economia la quale così è stata assunta non solo come base materiale della società ma anche come sua principale base spirituale. Analisi insufficiente, colma di pregiudizi, guidata da strumenti metafisici inadeguati, per cui è stato subordinato o separato lo spirito dalla materia e strutturalmente negata la soprannatura a favore della sola natura: direttamente attraverso la persecuzione violenta diretta o indirettamente attraverso la seduzione e l’occupazione di spazi e tempi. Secondo il nostro salesiano, il loro errore come quello di molti che li hanno seguiti e riaggiornati è stato proprio quello di aver posto come base spirituale della società una base che è solo materiale, l’economia appunto e di aver completamente o anche solo parzialmente ignorato il valore ontologico degli enti naturali a partire dall’uomo. Di qui l’ambizioso proposito del sacerdote piemontese di scoprire il vero logos nascosto all’interno della realtà storica. E’ questo un passaggio decisivo da comprendere profondamente: l’approdo al vero Assoluto della storia riconosciuta come realtà non è la composizione ordinata di un insieme di valori etici scelti in modo arbitrario, né il risultato di una rivelazione religiosa e nemmeno l’applicazione di una qualche dottrina costruita a priori a tavolino, è invece l’esito di una indagine metafisica rigorosa, coerente e completa che a partire dal dato di esperienza storico ci porta per esplicitazione, cioè attraverso una sorta di mostrazione [7] aristotelica, a scoprire il dover essere ontologico della realtà storica, dover essere che Demaria chiama tecnicamente essenza archetipa [8] . Questa ricerca del vero logos comporta inevitabilmente il confronto con la verità, la sua comprensione e la sua accettazione con tutti i rischi che questo comporta: la verità è più grande, nessuno possiede la verità, la verità bisogna servirla etc… Tutte espressioni che “i prudenti” giustamente manifestano per sottolineare la portata del problema ma che non lo risolvono anzi talvolta lo acuiscono cedendo spesso anche senza disputa alle “verità” sostenute da altri. A tal proposito Demaria infatti scrive: “ non si tratta né di una contrapposizione manichea, né di un accaparramento trionfalistico della verità. La verità bisogna servirla, ma per servirla bisogna conoscerla e riconoscerla […] non c’è insulto peggiore alla verità che rinnegarla o misconoscerla, col pretesto antitrionfalistico, di chi vi contrappone il proprio io con il sofisma dell’eterna ricerca ” [9] . Prosegue il Nostro: “ Oggi si preferisce il fare al pensare. Più che alla verità, che con falsa umiltà si proclama di «non possedere», si crede all'attività, ad un qualsiasi attivismo, riassorbito nell'attività personale con un totale rifiuto della sua rifusione razionale e cristiana nella prassi, anche se poi la presunta attività personale viene abbandonata alla deriva di tutte le prassi [10 ] .” E ancora: “ il discorso sulla verità oggi è impopolare. Si prova una certa nausea esistenzialista e pseudodemocratica nei suoi confronti. Si ha l’impressione o la convinzione che la verità sia diventata sinonimo di dittatura intellettuale, mentre l’errore sarebbe sinonimo di libertà e democrazia. [11 ] ” Richiami forti quelli demariani ad un impegno intellettuale coraggioso che pur nell’umiltà dell’approccio, teso ad evitare la tentazione arrogante di una saccenteria intellettuale, inclina deciso alla sfida della ricerca metafisica realistica integrale, opponendosi così alla non meno grave tentazione di una pusillanime rinuncia a priori. Ma quale può essere il criterio per individuare l’ideoprassi vera , il logos nascosto nel libro della storia che completa quello del libro della natura? [12] E’ questo se ricordate il quarto quesito proposto all’inizio. Demaria risponde schiettamente a questo interrogativo: “ Il problema della verità dell’ideologia si pone alla sua radice. Passa dalla prassi all’ideologia; dall’ideologia alla metafisica; e da una metafisica qualsiasi a una metafisica dinamica. Con ciò torna il problema di fondo: qual è la verità? Qual è la metafisica vera? […] la metafisica dinamica falsa è quella che genera un’ideologia ateo-materialista come anima della prassi; e la metafisica dinamica vera è quella che genera una ideologia come anima della prassi, non ateo-materialista […] che equivale all’affermazione dell’assoluto teo-spiritualista [13] ”. Sembra un continuo rimando ma di fatto non è possibile individuare l’assoluto vero della realtà storica, cioè quello teo-spiritualista, senza un’adeguata metafisica che per Demaria non può che essere la metafisica realistico integrale, ogni altra metafisica dinamica invece conduce all’assoluto ateo-materialista anche se a professarla è un credente, e quand’anche una metafisica dinamica non realista volesse escludere l’approdo ateo-materialista si fermerebbe a metà strada o peggio trascinerebbe alla meta che credeva di rinnegare [14] . Dai frutti conoscerete l’albero è l’insegnamento che porta a questa certezza. Ma per quale ragione è proprio quello teo-spiritualista l’assoluto vero della realtà storica? Qui il discorso giunge al suo compimento e trova la sua trattazione piena nel secondo dei tre volumi della trilogia. La constatazione è che la Realtà Storica è un ente vivo la cui forma non può che essere viva, una forma materiale inerte infatti non potrebbe che essere morta e restare morta. Forma viva e anche libera. Le uniche forme con queste caratteristiche sono la forma umana e quella divina, ma la forma umana non può che animare enti dinamici fenomenici e contingenti e non può in alcun modo rendere conto né di sè stessa, né di tutta la realtà creata. L’immediata e spontanea percezione metafisica dell’essere creaturale , a partire dal proprio io, è invece l'esperienza prima che mostra ad ognuno la propria insufficienza ad esistere da sè e rimanda quindi in modo razionale alla necessità dell'esistenza di Dio Creatore [15] ; senza questo fondamento trascendente tutto l’impianto metafisico realistico integrale fin qui presentato, resterebbe privo del necessario Garante [16] . L’unica forma viva perciò capace di dominare tutta la realtà passata, presente e futura sia naturale che storica non può che essere una forma divina; forma divina che per poter dominare la storia rispettandone la libertà deve poter agire anche dal di dentro e perciò essere ad un tempo non solo trascendente ma anche immanente, da cui l’approdo metafisico all’assoluto teo-spiritualista [17] . Ciò comporta in prima battuta per la forma sociale vera i tre presupposti negativi della non subordinazione dello spirito alla materia, della non separazione dello spirito dalla materia e della non separazione della natura dalla soprannatura [18] e in seconda battuta i suoi presupposti positivi e cioè la sua universalità, necessità, assolutezza e attualità [19] . Ho delineato in estrema sintesi il percorso filosofico demariano cui appartengono conseguenze pratiche impressionanti, la più importante delle quali è questa: senza adeguato strumento metafisico è impossibile mobilitare nella storia l’ideoprassi vera, non è cioè possibile la costruzione di una convivenza umana veramente funzionale. La metafisica assume così il suo valore concreto postulato nell’ultimo dei quesiti che ho posto all’inizio di questo lavoro. La prima, concreta e vitale esigenza è per questo motivo la formazione permanente di metafisici realistico integrali capaci di indirizzare la costruzione della società e per ciò è necessario e non più rimandabile una cattedra universitaria specifica di metafisica realistico integrale e a cascata di ideoprassiologia. Per questa via anche politica ed economia troverebbero il loro metodo e gli operatori economici, a partire dagli imprenditori, guide sempre più adeguate. La piramide dei bisogni materiali, relazionali e spirituali soprannaturali individuata anche dai più acuti economisti [20] , riceverebbe una solida pezza d’appoggio metafisica con il giusto indirizzo per evitare perniciose deviazioni verso false sirene progressiste o di contro verso ristagni statici economicamente insostenibili e impotenti a resistere al costruirsi dinamico della storia. La cultura della vita (statica e dinamica), della famiglia stabile, degli autentici valori umani, del rapporto oggettivo con le altre religioni, della libertà a servizio del bene, della persona come cellula viva attiva del corpo sociale, dell’autentica convivenza umana pacifica a livello universale avrebbero non solo diritto di esistenza sul piano culturale ma anche un concreto efficace rilancio. [1] T. Demaria, 2° Vol.,Metafisica della Realtà Storica, Ed. Costruire, Bologna 1975, p. 188. [2] T. Demaria, Metafisica e Metodo, da raccolta articoli rivista Nuove Prospettive. [3] S. Fontana, La sapienza dei medievali, Fede&Cultura, Verona 2018, p. 134 [4] T. Demaria, La Società Alternativa, Ed. Il Segno, Verona 1982, p. 15 [5] T. Demaria, La società Alternativa, ed. Il Segno, Verona 1982, p.19 [6] T. Demaria, Cristianesimo e realtà sociale, Ed. Villa Sorriso di Maria, Varese, 1959, p.47: “cosa è l’idelogia: è la visione dinamica, sintetica e concreta della vita e del mondo che si traduce nella teoria della pratica e nella pratica della teoria!” [7] G. Reale, Guida alla lettura della metafisica di Aristotele, Laterza Bari, 2004, p. 33 [8] T. Demaria, 1° Vol. Ontologia realistico-dinamica, Ed. Costruire, Bologna 1975, p. 165 [9] T. Demaria, 5° Vol. Sintesi Sociale cristiana, Ed. Costruire, Bologna 1975, p. 12 [10] T. Demaria, 5° Vol, Sintesi Sociale Cristiana, Ed. Costruire, Bologna 1975. p. 407. [11] T.Demaria, 4° vol. L’ideologia cristiana, Ed. Costruire, Bologna 1975. p. 232 [12] T. Demaria, Sinossi 1984, dispensa convegno Roma, 1984, p.10 [13] T.Demaria, 4° vol. L’ideologia cristiana, Ed. Costruire, Bologna 1975. p. 234 [14] Ivi, p. 235 [15] T. Demaria, 2° Vol, Metafisica della realtà storica, Ed. Costruire, Bologna 1975, p. 200- G. Zamboni, La persona umana, Vita e Pensiero, Milano 1983, p. 485 e 487. [16] T: Demaria, La società alternative, ed. Il Segno, Verona,1982, p. 18 [17] Ivi, p. 226 [18] T.Demaria, 5° vol. Sintesi sociale cristiana, Ed. Costruire, Bologna 1975. p. 272 [19] T.Demaria, 5° vol. Sintesi sociale cristiana, Ed. Costruire, Bologna 1975. p. 278 [20] Si veda relazione del prof. Zamagni in https://www.nuovacostruttivita.it/quali-scienze-sociali-per-il-cambiamento-depoca in occasione del convegno online di Nuova Costruttività, il 20 ottobre 2022: Quali scienze sociali per il cambiamento d’epoca.
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