I tre verbi dinontorganici
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L’esercizio di individuare i verbi dinontorganici fu inaugurato con efficacia dal nostro Nicola Mele già molti anni fa con i famosi dieci verbi dinontorganici.
Per dare un ulteriore fondamento a quel bel decalogo proponiamo di seguito una lettura sintetica che li può ricondurre a questi tre, come esplicitazione diretta di quello che viene assunto come l’assoluto dinontorganico.
I tre verbi che si ricavano direttamente dall’assoluto sono questi: COSTRUIRE, ESSERE, ORGANIZZARE.
Cerchiamo ora di darne una spiegazione affinché possano non solo essere memorizzati facilmente ma anche utilizzati nella concretezza dell’agire.
Ricordiamo che l’espressione DIN ONT ORGANICO si compone di tre parole: DINAMICO, ONTOLOGICO, ORGANICO.
Vediamo nel dettaglio il loro significato e iniziamo con il primo verbo.
1. DINAMICO cioè COSTRUIRE[1]
Ci soffermeremo in questa sede più attentamente sul verbo costruire perché è una chiave importante di tutto il discorso. Dedicheremo invece uno spazio più ridotto agli altri due verbi sui quali ci impegniamo a ritornare invece con più ampiezza in altri interventi.
Scrive d. T. Demaria: “il mondo dinamico e la società dinamica risultano dinamici perché debbono venir costruiti di continuo […] al di là della fenomenologia del cambiamento. E’ proprio questa costruzione continua che segna la natura profondamente diversa dei due mondi e delle due società (cioè della società statica e dinamica) scavalcando il cambiamento fenomenico”.
La costruttività appare subito in questa citazione come uno degli elementi chiave del dinamismo essenziale, è però necessario precisare la differenza tra il dinamismo come semplice cambiamento fenomenico e il dinamismo di natura essenziale tipico delle ideoprassi e quindi anche del dinontorganismo.
Per comprendere questo passaggio occorre fare un passo indietro e ricordare che ogni essenza[2] reale o anche solo concettuale è sempre composta di forma e materia. Materia è ciò di cui una cosa è fatta e la forma è il principio reale che plasma intimamente la materia in modo da farne quel certo tipo di cosa[3]: questo gatto e questo uomo hanno lo stesso tipo di materia ma una differente forma.
In questo percorso vanno anche precisati i concetti di potenza e atto. Potenza è una perfezione che non si ha ma che si può avere. Atto è una perfezione che si ha. Io sono seduto in atto ossia ho la perfezione di essere seduto. Sono invece in piedi in potenza e per questo aspetto sono imperfetto[4]
Nelle realtà naturali questa sintesi di forma e materia (cioè l’essenza) è già compiuta fin da principio, cosa per cui un bambino è tale fin dal suo essere embrione e tutto il resto del suo sviluppo biologico è solo un cambiamento fenomenico. Per questa ragione il suo essere viene definito da Demaria come ens cuius essentia est[5] , cioè l’ente la cui essenza è già fatta; in altre parole l’ente la cui sintesi forma/materia è già compiuta fin da principio.
Per quel che riguarda gli enti statici (cioè naturali) non vi è quindi nessuna costruzione essenziale perché appunto la sintesi forma/materia la troviamo già fatta.
Il dinamico inteso in questo senso cioè come cambiamento fenomenico è sempre esistito; esso consiste nel divenire delle cose secondo la loro natura come un passaggio dalla potenza all’atto. La filosofia di Aristotele ha chiamato questo movimento “moto metafisico” ed è tipico di tutti gli enti statici.
In qualche modo questo moto metafisico è stato sufficiente anche per spiegare i cambiamenti della storia che fino alla Rivoluzione Industriale il nostro Demaria definisce statica[6].
Gli stessi fenomeni “costruttivi” relativi a manufatti (casa in costruzione) o organizzazioni sociali (famiglia, esercito, impero) che successivamente verranno chiamati enti dinamici fenomenici, erano ricondotti a forme di moto metafisico accidentale non sostanziale, senza comportare di fatto alcuna novità ontologica sebbene né fossero i precursori[7].
Un discorso integrativo meriterebbe la rivoluzione del Vangelo e la conseguente realtà dinamica religiosa generata ma in questa sede soprassediamo.
Con la rivoluzione industriale invece si affaccia un nuovo tipo di cambiamento per la realtà storica profana, un cambiamento che ha permesso all’umanità di affrancarsi sempre di più dalle leggi della natura (senza tuttavia poterle eludere) ma che l’ha costretta anche a dover decidere continuamente cosa fare di sé stessa e di conseguenza a progettare senza sosta come costruirsi di continuo alla perenne ricerca di un equilibrio vitale[8].
È in questo nuovo contesto che anche gli enti dinamici fenomenici iniziano ad assumere rilevanza metafisica in quanto vengono ora a far parte di un’unica realtà dinamica universale concretamente in costruzione.
Per quale ragione questo nuovo tipo di costruzione viene detta dinamica essenziale?
Perché essa è appunto la costruzione di un’essenza reale e cioè la progressiva realizzazione della forma vera scoperta e codificata dalla metafisica (logos o dover essere della storia) nella materia (realtà umana esistenziale fatta di azioni, pensieri, parole e omissioni).
Costruire essenzialmente significa quindi attuare la forma vera nella materia cioè nella storia umana, dato che, come detto, ogni essenza è costituita di forma e materia.
La differenza fra ente statico ed ente dinamico è dunque questa: mentre nell’ ente statico la sintesi forma/materia (essenza) è già bell’e fatta fin dal primo istante della sua esistenza[9], in quello dinamico la sintesi forma/materia non è già fatta ma è da realizzare, cioè la forma deve essere progressivamente trasferita o meglio inverata nella materia attraverso l’agire umano, cosa per cui l’ente dinamico viene definito come ens, cuius essentia fit, cioè l’ente la cui essenza (sintesi forma/materia) non è ancora realizzata ma si fa nello spazio e nel tempo[10].
La dialettica di questo processo andrebbe memorizzata nella formulazione fondamentale e anche esclusiva del dinontorganismo che è questa: la materia muta, la forma si realizza.[11]
Ciò significa che da un lato la materia è dinamica perché cambia, mentre dall’altro lato la forma è dinamica perché si realizza (progressivamente nella materia) senza mutare in sé stessa naturalmente.
In questo, lo ribadiamo, consiste la costruzione dell’essenza dinamica: realizzare la forma nella materia.
È per questa ragione che l’essenza della storia è sempre in costruzione! Infatti essa è una realizzazione formale che non può mai essere compiuta nella materia una volta per tutte: ci saranno sempre avanzamenti, cadute, miglioramenti lenti talvolta veloci, crisi, riprese etc… Auspicando naturalmente il suo muoversi verso un compimento di bene, senza tuttavia illudersi né pretendere che ciò sia scontato o automatico essendo stato affidato alle mani della libera volontà umana.
Si tratta di un lungo processo di perfezionamento da svolgersi nello spazio e nel tempo cioè secondo passi possibili, con modelli di sviluppo che siano realmente e concretamente sostenibili dal punto di vista culturale, politico, sociale, economico e ambientale.
Questa scoperta metafisica che orienta la costruzione sociale ci mette teoreticamente al riparo anche dal rischio dell’etica della situazione e dalla violenza di processi rivoluzionari.
Resta naturalmente il problema della forma vera della storia, dato che la forma vera va scoperta e non inventata; essa è attuale (immutabile) e non mutabile a seconda dei tempi, è assoluta, universale, necessaria[12]. Essa non è frutto di Rivelazione ma è l’esito di una ricerca metafisica condotta con lo strumento del realismo: adaequatio intellectus et rei[13].
La sfida dunque per ogni uomo “dinontorganico” è ambiziosa e va condotta su tre livelli in sequenza:
- Scoprire e conoscere progressivamente la forma vera
- Accogliere e amare progressivamente la forma vera
- Servire, mobilitare e costruire progressivamente nella storia la forma vera.
La ricerca dell’assoluto nascosto nella storia è stata l’ambizione di molti filosofi ed economisti ma la risposta al triplice problema appena descritto ha condotto a risultati finora insoddisfacenti originando perniciosi errori culturali e storici come il marxismo (con la negazione della soprannatura e il prevalere acritico della collettività sulla libertà della persona), il laicismo (con la separazione dello spirito dalla materia e lo scadimento nell’individualismo libertario) e in genere tutte le filosofie e prassi del divenire.
Un’ultima osservazione. Il dinamismo e il relativo attivismo costruttivo rimandano per loro stessa natura alla centralità della cultura del lavoro. Senza cultura del lavoro, sia a livello di educazione personale che a livello di strutture sociali, nessuna costruzione organica è possibile. Con cultura del lavoro si deve intendere non solo e forse nemmeno principalmente il lavoro salariato tipico dell’economia di mercato ma anche e soprattutto ogni lavoro/attività “gratuita” che sia funzionale alla vita della famiglia naturale, alla vita della comunità sociale, alla vita del creato e in via primaria alla vita spirituale: cura della famiglia, volontariato spontaneo e/o organizzato, attività culturale nella società civile, attività politica di servizio e perfino la pratica religiosa contemplativa e attiva.
Con buona ragione ci pare giustificato dunque che il primo verbo dinontorganico sia COSTRUIRE.
Tocca ora intravvedere la forma vera dentro la realtà storica e questo è l’impegno che ci porta alla seconda parola che abbiamo preso in esame: ontologico.
2. ONTOLOGICO cioè ESSERE
Il termine “ontologico” significa proprio discorso sull’essere, su ciò che è e che esiste realmente, sia concreto cioè impastato di materia (come un albero, un gatto ma anche un’azienda, una famiglia, una parrocchia) che spirituale (come Dio o l’anima umana). Far corrispondere al termine ontologico il verbo essere è quindi abbastanza intuitivo.
Si può anche giocare sulla bivalenza del termine come sostantivo e come verbo sicchè il senso complessivo del discorso risulta facilmente accessibile: meglio essere che avere, costruire l’essere e non il divenire fine a sè stesso, essere e non apparire, essere vivo, essere per essere, essere coerente, agere sequitur esse” (l’agire segue l’essere)[14] etc…
Anche la costruzione di cui abbiamo scritto è di fatto la costruzione coerente e univoca di un essere sociale, capace di vivere e agire a titolo proprio, attraverso l’attivismo umano nello spazio e nel tempo.
Approfondire le caratteristiche di questo essere (cioè la sua forma vera) non è oggetto di questa riflessione.
Qui ci basta far comprendere che lo scopo di ogni agire all’interno della realtà storica dinamica consiste nella costruzione di un essere sociale permanente e stabile, capace di valorizzare nella libertà ogni persona umana e ogni comunità civile in armonia e sintesi necessaria con la comunità religiosa (sebbene siano confacenti solo le comunità religiose coerenti con la legge naturale e la forma dinamica vera della storia). Ecco chiarito che non si tratta di un fare tanto per fare né di un divenire fine a sé stesso.
Per esempio, in termini economici, qualcuno afferma che l’importante è “fatturare” oppure che l’importante è far crescere il Pil ma senza badare se questo sia sufficiente a garantire la realizzazione di una società vera, stabile, buona, unita, bella, potenzialmente per tutti nella libertà[15].
In definitiva nell’ente dinamico l’essere è in costruzione per essenza proprio in virtù della continua sintesi forma/materia e perciò imperfettissimo per essenza, diversamente da Dio che è invece Essere perfettissimo per essenza[16].
Nel realizzare la forma nella materia si fa esistere concretamente la sua essenza reale e ciò giustifica la formulazione “essenzializzazione dell’esistenza” non più interpretabile attraverso i gradi di astrazione (generi e specie) ma attraverso i piani dell’essere (essenziale, esistenziale, fenomenico, operativo)[17].
L’essere è il punto di partenza e il punto di arrivo di ogni agire, per questa ragione abbiamo fissato l’attenzione proprio sul verbo ESSERE.
3. ORGANISMO cioè ORGANIZZARE
Scrive Demaria: “organizzare vuol dire creare un organismo vivo. Questa è l’organizzazione finalistica dell’organizzazione, che ci pone di fronte allo scopo vero di essa, che è l’organismo vivo”.[18]
Non ci riferiamo qui alla sola organizzazione strumentale ma soprattutto alla organizzazione finalistica che è ad un tempo strutturale e funzionale, cioè capace di individuare un fine coerente con il bene oggettivo, mobilitare un’energia (materiale e/o spirituale), codificare una tecnica (scienze dell’azione), attuando le adeguate e necessarie strutture. Non si tratta solo di educare persone ma di organizzare strutture funzionali al vero scopo. Senza organizzazione non c’è vita sociale, non c’è unità, né armonia.
Ci pare intanto qui sufficiente la giustificazione del terzo verbo dinontorganico: ORGANIZZARE
A titolo di riepilogo sottolineiamo che l’esercizio di suggerire tre verbi dinontorganici ci ha permesso di comprendere alcuni passaggi cruciali della metafisica organico-dinamica. Lo spunto ci stimola ad accrescere una motivazione e un impegno capaci di renderci consapevoli della sfida avvincente che ci interroga: costruire un essere sociale vivo, vitale e organizzato per il bene nostro, dei nostri figli e di tutta l’umanità. I modelli concreti cioè i modi per ottenere questo risultato possono essere infiniti purché sempre coerenti con il tipo univoco di società animato dalla forma vera.
[1] T. Demaria, Ideologia come prassi razionalizzata, p. 15: “[…] il mondo e la società statica erano già costituiti nella loro realtà profonda. Dimodoché, malgrado i loro cambiamenti, erano e restavano un mondo statico e una società statica. Il mondo dinamico e la società dinamica, invece risultano dinamici, perché debbono venire costruiti di continuo, proprio come realtà storica globale e società globale, al di là della fenomenologia del cambiamento. E’ proprio questa costruzione continua che segna la natura profondamente diversa dei due mondi e delle due società, scavalcando il cambiamento fenomenico
[2] L’essenza si definisce in questo modo: “ciò per cui una cosa è”, un uomo, un topo, una margherita. Cfr S. Fontana, La filosofia cristiana, p. 25. Si può ricorrere anche alla antica formulazione aristotelica: “to ti en einai” che i latini hanno tradotto come “quod quid erat esse”, che significa “ciò che era l’essere” (sottinteso, fin da principio). Cfr. Vanni Rovighi, Elementi di filosofia 2, ristampa 1995, p. 13.
[3] S. Fontana, La filosofia cristiana, p. 25
[4] Ivi p. 27
[5] T. Demaria, Collana Spid, 1° volume p. 126.
[6] T. Demaria, Ideologia come prassi razionalizzata, p. 11
[7] T. Demaria, Collana Spid Vol 1°, p. 246 e 250.
[8] T. Demaria, Ideologia come prassi razionalizzata, p. 20,21.
[9] T. Demaria, Collana Spid, 1° volume p. 126.
[10] T. Demaria, Collana Spid, 1° volume p. 134.
[11] T. Demaria, Collana Spid, 5° volume, p. 280
[12] T. Demaris, Collana Spid, 5° vol. p. 278 . In questo paragrafo Demaria dopo aver trattato dei presupposti negativi della forma vera, si occupa dei suoi presupposti positivi: universalità, necessità, assolutezza, attualità.
[13] T. Demaria, Collana Spid, 1° volume p. 24.
[14] T. Demaria, Collana Spid 1° vol. p. 46.
[15] T. Demaria, Collana Spid 5° vol. p. 283. E’ importante osservare come Demaria sottolinei l’importanza dell’inveramento dei trascendentali statici nella realtà storica.
[16] T. Demaria, Collana Spid 1° vol. p. 240, 241.
[17] Ivi p. 177
[18] T. Demaria, Presupposti Dottrinali, p. 45.
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