I principi non negoziabili – Stefano Fontana

Redazione • mag 17, 2015

  NEWSLETTER N° 11 – maggio 2015

Il prof. Stefano Fontana è molto chiaro su questo tema e hai due modi per seguirlo: o ti leggi questa bella relazione oppure te lo vedi in questobel  video.

In ogni caso dopo aver letto, se ti è piaciuto, ricordati di cliccare su “mi piace” e di lasciare magari  un commento.

Stefano Fontana

V erona 11 marzo 2015, relazione tenuta presso il Caffè Teologico di Verona

I Principi non negoziabili: perché bisogna parlarne ancora

 

Cosa sono

Spesso si parla di “valori” non negoziabili anziché di “principi” non negoziabili , ma si tratta di un errore di impostazione.

Principio vuol dire fondamentoe criterio . Il principio è l’elemento che regge e illumina un certo ambito. Il principio tiene insieme le cose e le indirizza, le orienta al loro fine. Ne consegue che il principio non può essere un elemento della serie, nemmeno il primo. Essere un principio non vuol dire stare cronologicamente all’inizio, come il primo gennaio sta al principio dell’anno. Il principio ha un primato: viene prima, ove l’avverbio prima non è solo temporale.

Cos’è, invece, un valore? Una cosa ha valore quando è apprezzabile. Ora, la vita o la famiglia o la libertà di educazione – per citare qui i principali tra i principi non negoziabili – sono certamente dei valori, sono degni di apprezzamento e di promozione. Come tanti altri aspetti della vita umana e sociale, del resto. Come l’arte, la solidarietà, la conoscenza, la salute, la buona cucina.

Come si vede essere un valore non vuol dire anche essere un principio . La casa in proprietà è un valore ma non è un principio ordinatore della vita sociale. Ciò non toglie che un valore possa essere anche un principio. La vita umana, per esempio, è un valore ma è anche un principio, in quanto è in grado di illuminare con la sua luce l’intera vita sociale e politica. Se si offusca il rispetto della vita non si offusca solo un valore, ma anche altri valori ed altri aspetti della vita che quel principio illumina.

Il bene comune non è un insieme di valori aventi tutti lo stesso peso, ma è un insieme ordinato. Per essere ordinato vuol dire che qualche valore ha una funzione architettonica, ossia indica i fondamenti del bene comune e, così facendo, illumina di senso anche tutti gli altri. Senza un criterio non c’è bene comune ma somma di beni particolari e questo criterio ci proviene dai principi non negoziabili.

Abbiamo allora stabilito cosa voglia dire la parola principio. Vediamo adesso cosa voglia dire l’espressione “non negoziabile”. Se si tratta di principi, ossia se sono qualcosa che viene prima e che fonda, essi non dipendono da quanto viene dopo ed hanno valore di assolutezza, non sono disponibili . Non sono negoziabili perché assoluti e sono assoluti perché sono dei principi . Se fossero relativi non potrebbero essere principi, non starebbero prima, sarebbero uno dei tanti elementi della serie. O si nega l’esistenza di principi, oppure se si ammette la loro esistenza essi devono essere assoluti ossia non negoziabili. Tale valore di assolutezza risulta anche dall’esperienza della loro mancanza. Quando manca il riferimento ad essi una società perde la bussola e subisce una involuzione. Questo vuol dire che non sono essi ad essere relativi alla società ma è la società ad essere relativa ad essi. Ecco quindi il motivo ultimo del perché non possono essere negoziabili: perché non sono stati negoziati. Se una cosa viene negoziata, allora vuol dire che è negoziabile e può in seguito essere rinegoziata. Ma un principio non può essere rinegoziato perché non era mai stato negoziato prima, in quanto non negoziabile . Altrimenti che principio sarebbe? In una società senza principi non negoziabili tutto è negoziabile, compresa la negoziabilità.

I principi non negoziabili, quindi, sono tali in quanto precedono la società. E da dove derivano? Essi sono non negoziabili perché radicati nella natura umana . Proprio perché fanno tutt’uno con la natura umana, non possono essere presi a certe dosi, un po’ sì e un po’ no: o si prendono o si lasciano . Questa è vita umana o non lo è. Questa è famiglia o non lo è. I principi non negoziabili demarcano l’umano dal non umano e quindi sono il criterio per una convivenza umana.

Da un altro punto di vista, però, essi non sono propriamente dei principi primi, perché non sono capaci di fondarsi da soli. Come abbiamo visto, essi si basano sulla natura umana, ma la natura umana su cosa si fonda?   I principi non negoziabili esprimono un ordine che rimanda al Creatore.

Se non esistono principi non negoziabili la ragione non trova un ordine che rinvia al Creatore. Essa non incontra più la fede e  la fede non incontra più la ragione. Ciò significa l’espulsione della religione dall’ambito pubblico. La vita sociale e politica sarebbe solo il regno del relativo. Cosa ci starebbe a fare la fede in un simile contesto? Dio si sarebbe scomodato a parlarci per aggiungere la sua opinione alle nostre?

Quali sono

Precisare quali sono i principi non negoziabili è di fondamentale importanza . I testi fondamentali del magistero sono tre.

Al paragrafo 4 della Nota dottrinale su alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica Congregazione per la Dottrina della Fede (24 novembre 2002) sono indicati i seguenti principi non negoziabili: vita, famiglia, libertà di educazione, tutela sociale dei minori, libertà religiosa, economia a servizio della persona, pace.

Nel Discorso ai Partecipanti al Convegno del Partito Popolare Europeo del 30 marzo 2006, Benedetto XVI elenca vita, famiglia e libertà di educazione.

Entriamo nel merito di questi elenchi. La prima cosa da osservare è che tre principi sono sempre presenti e sempre collocati all’inizio di ogni elenco, in posizione quindi eminente: vita, famiglia e libertà di educazione .

Secondariamente indica che quei tre principi ci pongono davanti a degli assoluti morali , ossia ad azioni che non si devono mai fare in nessuna circostanza. Per gli altri principi elencati nella Nota del 2002 non è così. Per esempio, essa annoverava tra i principi non negoziabili anche una “economia a servizio della persona”. Non c’è dubbio che la lotta alla disoccupazione sia un elemento importante del bene comune. Tuttavia, per perseguire la piena occupazione le strade possono essere diverse. Nel caso, invece, dei tre principi di cui ci stiamo occupando, non ci sono strade diverse. Anzi, in quei casi di strade non ce ne sono proprio. La differenza dipende dal fatto che la frase “non uccidere” e la frase “sviluppa l’occupazione” sono molto diverse quanto a cogenza morale. La prima impone un assoluto morale negativo, qualcosa quindi che non si deve mai fare, la seconda propone un precetto morale positivo, indica cosa si deve fare. Ora, mentre il male assoluto non si deve mai fare, il bene può essere fatto in molti modi . La coscienza, assieme alla virtù della prudenza, non viene esercitata nel caso dei precetti morali negativi – sacrificare due embrioni umani invece che tre non è un male morale minore; abortire una volta anziché due non è un male morale minore – mentre può esercitarsi nei casi di quelli positivi.

Molti accettano queste mie considerazioni per i primi due principi – la vita e la famiglia – ma non l’accettano per il terzo: la libertà di educazione . La libertà di educazione è fondamentale in quanto pone o toglie la possibilità che l’anima del bambino sia iniziata alla verità piuttosto che all’errore, al bene piuttosto che al male, a Dio piuttosto che al Principe delle tenebre. Il problema è quello della educazione e del suo ruolo decisivo nella nostra vita. Se è possibile educare allora tutto è rimediabile , ma se alle famiglie e alla Chiesa viene tolta la possibilità di educare è la fine per tutti e per tutto.

C’è solo un altro principio tra quelli elencati nella Nota del 2002 che potrebbe contendere il “primato” a questi tre: il principio della libertà di religione . Esso nasce dal dovere di cercare la verità fino alla radice, ossia fino a misurarsi con Dio. Però il diritto alla libertà religiosa non è assoluto , in quanto vale solo dentro il rispetto della legge di natura, il cui rispetto è fondamentale per il bene comune.  Professare e praticare una religione che contenga elementi contrari alla legge naturale non può essere un diritto né avrebbe titolo morale per un riconoscimento pubblico.

Da queste considerazione si deriva che tra i primi tre principi elencati e gli altri c’è una differenza. Se mancano i primi tre, tutto l’elenco viene meno , mentre se ci fossero solo i primi tre, ci sarebbe già il nucleo portante di tutto il discorso. Ed infatti capita spesso, come abbiamo visto, che il magistero elenchi solo i primi tre, ma non capita mai che ne elenchi altri senza questi tre.

Equivoci sui principi non negoziabili

Molti cattolici criticano o perfino irridono i principi non negoziabili, considerandoli un impedimento al dialogo. Altri fanno notare che il dialogo per essere significativo ha bisogno di limiti, dati appunto da questi principi. Ne nascono molti equivoci.

Su un primo equivoco , ossia intenderli come valori e non come principi, ho già detto. Esso comporta per esempio il classico errore di valutazione : se un partito propone l’aborto e lotte efficaci alla povertà mentre un altro partito è contro l’aborto ma ha misure meno efficaci contro la povertà io posso decidere liberamente per ambedue perché si tratta solo di valori.

Un altro degli equivoci più frequenti è pensare che i principi non negoziabili comporterebbero la rinuncia da parte dei cattolici ad un pensiero politico completo in luogo della richiesta di garanzie su singoli temi specifici. I principi non negoziabili non sono singoli temi ma principi e quindi riferirsi ad essi comporta sempre l’accettazione di una prospettiva, che si ripercuote inevitabilmente anche su altri punti. In certe fasi storiche si è costretti ad attestarsi maggiormente sui singoli principi, perché le minacce sono incombenti. Ma questo non vuol dire che se ne dimentichi il valore illuminante per l’intero programma sociale e politico.

Un terzo equivoco consiste nel considerare i principi non negoziabili come contrari all’essenza della democrazia. Questa sarebbe il sistema che ha al centro la persona umana, ma siccome la persona è continuamente da approfondire nel dialogo e non si arriverà mai al punto finale, serve il confronto politico e serve anche affidarsi in conclusione alla legge della maggioranza. Che una realtà debba essere continuamente approfondita secondo il principio di coerenza è vero, ma questo non vuol dire che non si possa conoscere niente di certo e definitivo su di essa, talmente certo e definitivo da doverlo porre al riparo anche dalla legge della maggioranza. I principi non negoziabili non pretendono di dirci tutto su una società umana ma di dirci gli aspetti senza dei quali non è società umana . Se la panoramica completa dell’uomo non ci è data – almeno quaggiù -, questi ci sono dati in tutta la loro chiarezza e cogenza.

Un quarto equivoco riguarda i mezzi e i fini. Si dice che la politica riguarda i mezzi e non i fini. Infatti, si sostiene, esistono diversi partiti politici perché i cittadini possano prudentemente adoperare l’uno o l’altro partito per realizzare i loro fini. Questo giustificherebbe la presenza dei cattolici in tutti i partiti. Cittadini che hanno fini uguali si dividono poi nella scelta del partito che, come un mezzo, può realizzare meglio i fini. Di solito si tira in campo la virtù della prudenza con la quale la coscienza morale cala nella situazione concreta i principi morali generali, insomma sceglie i mezzi più idonei per realizzare i fini.

La prima cosa da dire è che la politica riguarda anche i fini e non solo i mezzi. La seconda cosa da dire è che i mezzi sono ordinati al fine, quindi non possono contraddirlo. La prudenza applicata ai mezzi cattivi diventa imprudenza. Se per conseguire il fine della difesa della vita io mi affido al mezzo di un partito che promuove l’aborto non ho esercitato la prudenza, ma sono stato imprudente. La scelta del partito ha a che fare con i fini , dato che la politica riguarda anche i fini, ed ha poi a che fare con la scelta dei mezzi, che devono però essere buoni, ossia congrui rispetto al fine. Questo discorso sta alla base del fatto che se si accettano i principi non negoziabili non si può aderire indifferentemente a tutti i partiti, perché alcuni di essi sono connessi con altri fini contrari e altri di essi sono dei mezzi inadatti al fine.

Un ultimo frequente equivoco è di ritenere che ammettere i principi non negoziabili significhi negare la laicità della politica, facendola dipendere da principi confessionali. I principi non negoziabili sono dei principi ragionevoli che possono essere riconosciuti da tutti gli uomini. La stranezza non sta nel fatto che siano riconosciuti, ma semmai nel fatto che siano negati. Quindi appartengono al campo della laicità, se per laicità intendiamo l’ambito della ragione pubblica, la quale stabilisce i principi e i fini del vivere comunitario. Se, invece, per laicità si intende l’assenza di qualsiasi verità assoluta, anche di tipo razionale, allora non si tratta di vera laicità, ma di una nuova religione dell’individuo assoluto e dei suoi desideri.

Dipendendo dai principi non negoziabili, quindi, la politica non dipende da principi confessionali, ma semplicemente dal “senso” di se stessa.

Principi non negoziabili ed obiezione di coscienza

Poiché la politica assume sempre di più l’arroganza di contrastare i principi non negoziabili l’obiezione di coscienza oggi è sempre di più un problema politico e non solo morale.

Fanno obiezione di coscienza i farmacisti, che non vogliono vendere la pillola del giorno dopo in quanto ha effetti abortivi,  le ostetriche e i medici che non vogliono collaborare nel praticare aborti, anche se la legge lo permette, gli impiegati comunali, che non vogliono registrare le coppie omosessuali negli appositi registri pubblici o che non vogliono celebrare pubblicamente matrimoni che tali non sono, molti insegnanti che non vogliono piegarsi all’ideologia del gender,  i genitori, quando decidono di non far partecipare i propri figli a distruttivi corsi scolastici di educazione sessuale, i lavoratori che non rinunciano al loro diritto di esibire un segno religioso quando sono in servizio, mentre l’amministrazione da cui dipendono lo vieta, le infermiere, quando reagiscono al divieto dell’amministrazione sanitaria di confortare religiosamente i morenti, invitano all’obiezione di coscienza in Vescovi americani contro la riforma sanitaria di Obama, fanno obiezione di coscienza gli operatori del consultori della Toscana dove adesso dovranno anche somministrare la pillola abortiva.  Ci sono persone che perdono il posto di lavoro per la fedeltà ai principi non negoziabili.

Perché avviene questo? Perché ci sono dei principi non negoziabili, davanti ai quali la nostra coscienza, come quella di Socrate o di Antigone, trova la forza di dire un no assoluto. Ora, mi chiedo, perché questo non dovrebbe valere in politica? Perché in politica si dovrebbe comunque arrivare ad un compromesso? E a questo compromesso in politica si dovrebbe anche dimostrare rispetto e deferenza, lodando la persona che è scesa a mediazione come un esempio di saggezza, prudenza e perfino coraggio?

La cosa è ancora più evidente se la si esamina dal punto di vista della testimonianza. Quante volte si dice che il cattolico è in politica per dare una testimonianza . Però, se non esiste la possibilità del sacrificio, se non c’è mai nessun “no” da dire a costo di perdere qualcosa, la testimonianza come si misura? E’ facile impegnarsi in politica applauditi e ben retribuiti. E non è sufficiente non commettere illeciti o immoralità. Bisogna anche essere disposti a pagare davanti a dei principi che la nostra coscienza ritiene non negoziabili. A Socrate il suo amico Critone aveva proposto la fuga, ma Socrate ha risposto di no.

Il vero uomo politico è colui che sa anche rinunciare alla politica. Si è uomini prima e dopo la politica. E’ questo che dà senso alla politica stessa. Se tengo aperto il campo della mia umanità tramite una fedeltà alla retta coscienza che giudica la stessa politica, faccio respirare anche la politica. Molti dicono: non si deve abbandonare il campo (per esempio con le dimissioni) perché in questo modo lo si lascia agli altri e si recede dalla doverosa lotta politica. Ma la politica la si può fare in tanti modi e in tanti luoghi. Senza contare che, anche un eventuale atto di dimissioni per motivi di coscienza sarebbe già un atto politico, denso di possibili conseguenze politiche imprevedibili in quel momento. Del resto, un vero leader politico è uno che sa dire anche di no. Lo sa dire agli altri perché lo sa dire a se stesso. Chi non sa dirlo a se stesso non ha diritto di dirlo agli altri.

E’ evidente che l’obiezione di coscienza in politica è possibile se in politica si danno principi non negoziabili. Si cerca in tutti i modi di eliminare la libertà di coscienza per eliminare i principi non negoziabili e si cerca di eliminare i principi non negoziabili per eliminare la libertà di coscienza. L’esistenza dei principi non negoziabili rende libera la nostra coscienza.  

Quando un uomo politico fa obiezione di coscienza in quanto uomo politico, il fatto ha valore politico e non solo personale. Ammettiamo che gli uomini di Stato e di governo che hanno sottoscritto nel 1978 la legge 194 sull’aborto in Italia avessero fatto obiezione di coscienza e si fossero dimessi dalla loro carica. Sarebbe stato un atto politico di primaria importanza, un atto che avrebbe continuato a fare politica nei secoli. Questo perché avrebbe significato la denuncia di un ordine sociale che si stava costruendo come disordine. Non si sarebbe trattato di una semplice fedeltà ad una opinione personale, né ad una semplice, anche se importante, convinzione di coscienza, ma il tutto si sarebbe riferito ad un ordine sociale legittimo e ad uno illegittimo. Inevitabilmente il discorso si sarebbe dislocato sul prima, su quanto precede e fonda la comunità e su quanto merita riconoscimento pubblico e quanto no. Chi può negare con assoluta certezza che un atto del genere non avrebbe cambiato la storia politica del nostro Paese?

Ecco perché oggi c’è la necessità di insistere sui principi non negoziabili in ordine alla obiezione di coscienza in campo politico. Da essa dipende il collegamento della politica con il prima che la precede e la fonda.

In questo modo la politica è costretta a fare i conti con la modernità. Questa, infatti, ha annullato il “prima” e ha preteso di cominciare da zero, nella forma del contratto sociale. E’ stato giustamente osservato che il primo moderno è stato Guglielmo di Occam, secondo il quale dietro all’ordine delle cose e dietro all’ordine morale non c’era un disegno ma l’arbitraria volontà divina. Su questa piazza pulita la politica moderna di Hobbes o Rousseau costruì il convenzionalismo del contratto sociale. Se si eliminano i principi non negoziabili finisce il “prima” della politica e la visione moderna avrebbe irrimediabilmente vinto senza possibilità di alcun riscatto. La consegna al contratto sociale sarebbe definitiva.

Però della modernità fa parte anche Tommaso Moro, che Benedetto XVI ha proclamato Protettore dei politici. E Tommaso Moro fece obiezione di coscienza, ben sapendo che in quel modo egli esercitava un supremo atto politico, denso di conseguenze politiche nei secoli. Il suo atto, infatti, divenne simbolo dell’indipendenza della legge morale sul potere e alimentò le lotte per la difesa della libertà di coscienza lungo la storia moderna.

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Autore: Redazione 25 apr, 2024
Il filosofo o lo studioso che si occupa di realismo integrale diviene di necessità anche un apostolo, perché l’impegno con l’essere della realtà storica lo rende persuaso della necessità della cultura-conoscenza come via necessaria all’azione politico-sociale [1] . E’ con questo spirito che mi accingo da filosofo non accademico a ripercorrere, con gli adeguati riferimenti bibliografici, i contenuti della relazione che ho tenuto un po’ a braccio il 21 marzo 2024 alla Pontificia Università Salesiana in occasione del convegno “ Tommaso Demaria: uno sguardo organico-dinamico sulla storia e sulla società .” L’essere della realtà storica appena accennato ci introduce al tema essenzialmente nuovo inaugurato da don Tommaso Demaria, essenzialmente diciamo ma non fenomenicamente poiché da questo punto di vista l’intuizione di molti ricercatori, per quanto non ancora riflessa a sufficienza, ha condotto molti a rendersi conto che il mondo in cui viviamo appare come una realtà globale, unitaria, interconnessa e in grado perciò di muoversi secondo logiche proprie e inesorabili che sfuggono perfino al controllo dei singoli potenti di turno. Discipline come la sociologia, la psicologia, le scienze dell’organizzazione ma anche la stessa economia rilevano da anni il fenomeno, tuttavia ancora manca alla cultura dominante una visione completa capace di dar conto di tutti gli aspetti in campo: materiali, relazionali, spirituali e metafisici. Lo scopo di questo discorso è quindi quello di stimolare una coscienza intorno all’essere della realtà, perché prima di agire occorre pensare e prima di pensare occorre essere, rendersi conto di essere e di vivere accanto ad altri esseri, perché l’essere precede l’agire non solo personale ma anche comunitario. Il percorso si articola in cinque passaggi che sono invero cinque domande: Di quale essere stiamo trattando? Una società ateo-materialista è in grado di prosperare o almeno sopravvivere? Cosa sono il pensiero unico, i grandi resets e il nuovo ordine mondiale di cui tanto si sente parlare? La ideologie sono tutte negative come tali oppure si deve tener conto del loro contenuto di verità? Possiamo indicare delle vie concrete? Sembra la prima una domanda fuori tempo massimo: a chi può mai interessare oggi un discorso sull’essere o sulla vita? La società liquida con i suoi deliri ha fatto evaporare ogni punto di riferimento stabile, ogni riscontro oggettivo: tutto cambia, tutto muta, tutto scorre, al più si può dire che tutto l’essere è il divenire stesso. Eppure la nebbia di una cultura nichilista pervasiva e invadente come quella moderna (per non dire modernista) non riesce a sopire completamente l’esigenza di essere, di senso e di significato che si scopre ancora incardinata nel cuore di ogni uomo. L’esperienza quotidiana carica di problemi enormi e di enormi opportunità ci catapulta nostro malgrado in un fluire di vicende storiche che non riusciamo a dominare e nemmeno a capire ma che in qualche modo contribuiamo a generare; il mondo va avanti anche con il nostro spesso inconsapevole sostegno e con logiche proprie; le leve del comando sono impersonali, occulte, segrete eppure reali, assegnate in modo oscuro ma lucido a guide concrete ma provvisorie e solo funzionali al perpetrarsi di un mondo che in fondo non vogliamo: la guerra torna a bussare inaspettata alla nostra porta. In questa profonda esigenza di essere, legata ad un perenne senso di malessere per un mondo che non capiamo, assume di nuovo un valore epocale tutta la riflessione di Demaria sulla Realtà Storica, tornando così potente, attuale e anzi necessaria. Quella che un tempo fu l’intuizione di un geniale metafisico oggi è esperienza concreta di molti uomini: la realtà storica appare davvero come un essere capace di vivere a agire a titolo proprio. La portata di questa intuizione comporta la richiesta teoretica di un’adeguata giustificazione: non ci può bastare il solo dato fenomenico anche se ormai di per sé evidente. Giustificazione che però non è possibile affrontare qui, ci basti per ora solo rilevare che alla griglia degli esseri oggetto della metafisica tradizionale e cioè l’uomo, la natura e Dio vi si aggiunge appunto anche l’essere della realtà storica che diventa tale, secondo il salesiano, a partire dalla rivoluzione industriale, imponendosi per di più come organismo dinamico vivo e perciò capace di vivere a agire a titolo proprio. [2] Sono affermazioni importanti che suscitano curiosità ma anche timori: se la realtà storica vive agisce a titolo proprio dove va a finire la libertà umana? La libertà, proprietà inalienabile della natura umana, è un bene prezioso e un dono esclusivo che ogni uomo e anche ogni società hanno ricevuto per scegliere cosa fare di sé stessi. Essa è talmente necessaria che la realtà storica come tale la esige a livello essenziale anche se purtroppo a livello esistenziale può accadere ed accade di fatto che la storia, animata da logiche contrarie al suo vero dover essere ontologico, finisca per negarla, reprimerla o falsarla, assoggettandola a scelte mortifere anziché vitali. Così avviene che se la realtà storica assume logiche contrarie alla sua vera natura e ciò avviene proprio in ragione della libertà umana, anche la comprensione di tutti gli altri esseri ne risulta influenzata e perfino deformata: la persona diventa fluida oppure un ingranaggio, la natura sfruttata o divinizzata, il Dio Creatore rifiutato o umanizzato, con enormi conseguenze sul piano dell’agire collettivo. Comprendere il vero dover essere della realtà storica diventa perciò imperativo decisivo proprio per poter orientare alla convivenza libera e funzionale la vita di miliardi di persone. Il negare questa prospettiva ci espone nostro malgrado ad un agire inconsulto e senza prospettiva e a lasciarci dominare dalla logica bruta di una materia orfana della forma vera, materia che per surrogazione finisce per alienare sé stessa nel ruolo di forma in una prassi senza senso perché in fondo senza retta dottrina, come direbbero i metafisici realisti di un tempo. Per questa via gli stessi cristiani e gli uomini di volontà buona [3] (cioè volontà orientata al bene) vanno a servire inconsapevoli la costruzione della società fondata sul materialismo che, secondo il salesiano, è l’anticamera dell’ateismo prima ontologico e poi religioso [4] . A questo punto qualcuno potrebbe obiettare che in fondo questo non è necessariamente un male, in fin dei conti anche le società ateo-materialiste, che sono quelle ormai realmente esistenti, possono funzionare se non bene almeno in modo accettabile. L’evidenza storica ci palesa tuttavia senza sconti che non è così e con questa affermazione iniziamo a rispondere alla seconda domanda. Gli “organismi mostro” incarnati dai sistemi capitalisti e comunisti e dai loro discendenti modernisti, fondati sull’assoluto ateo-materialista e così denominati da Demaria nel suo lungimirante testo La società alternativa [5] , stanno manifestando di nuovo oggi la rinnovata ferocia delle loro false premesse. In qualche modo essi vivono sempre a scapito di qualcos’altro: la natura, i poveri, la libertà, Dio stesso. E se queste società potessero anche risolvere (ma non possono!) gran parte dei problemi materiali che ci affliggono, resterebbe strutturalmente irrisolto il senso dell’esistere umano che fatalmente, rinchiuso nell’alveo della materia bruta, si tradurrebbe in un dramma suicida invece che in un’epica maestosa. E’ in questo clima illusorio che oggi si discute molto di pensiero unico, di grande reset, di nuovo ordine mondiale . Intanto mi viene da chiedere, perché cancellare tutto? Forse perché siamo talmente pieni di debito economico a livello mondiale che solo la sua cancellazione, con l’aiuto magari della guerra, può permettere di ripartire? E un’ipotesi che mi pare folle ma anche brutalmente realistica. Il martellamento mediatico proveniente da sponde spesso opposte ci dice altresì che non c’è una sola idea di “reset”, né una sola proposta di “pensiero unico”. Ce ne sono varie e in concorrenza tra loro, che si accusano a vicenda di complottismo, di seduzione, di violenza: capitalismo green, socialismo arcobaleno, socialismo capitalista, imperialismo misticheggiante (se non direttamente ateo-materialista almeno con un errato rapporto spirito/materia). Sono tante le prospettive di “Unico Ordine Mondiale” che si propongono come salvifiche. Ma tutto questo non è una novità , ciò che è cambiato sono solo le etichette, i nomi, le parole, ma la realtà che sottendono è sempre la medesima, quelle esplicitata dal nostro Demaria. L’esigenza di un nuovo ordine mondiale e di pensiero unico non sono che la riedizione aggiornata di quella pletora di ideologie, pseudoideologie e paraideologie che dalla rivoluzione industriale in poi cercano di dare un ordine al caos di una prassi diventata dinamica. Esse si scontrano, si fondono, si camuffano in un susseguirsi di morti e rinascite fino ad arrivare all’esito forse finale, denunciato da Benedetto XVI dell’ideologia del relativismo, che tutte le nega ma solo in fondo per affermare sé stessa, la più dogmatica. Ecco che quelle moderne, afferma Demaria, non sono più solo lotte fra popoli o nazioni ma lotte fra ideologie o meglio lotte fra ideoprassi. E in questa lotta reale per prevalere l’una sull’altra manifestano anche il loro tratto comune che le identifica e le inchioda: sono tutte prassi ontologicamente ateo-materialiste! Le uniche, ed è la storia a dirlo, che sono state in grado di portare l’umanità fin sull’orlo dell’auto-distruzione attraverso soprattutto la possibilità, oggi tornata concreta, della terza guerra mondiale nucleare. Eppure non si può fare a meno di una ideologia, cioè di una visione organica, integrale e coerente della vita umana che sappia coordinare l’agire di miliardi di persone; l’alternativa ad una qualche forma di ordine, ad una sorta prassi razionalizzata non è che la prassi selvaggia e il caos [6] . E’ stato questo l’intento della vita di Karl Marx ma anche dello stesso Adam Smith e di altri studiosi: scoprire la logica interna della storia. E cosa hanno concluso? Che la storia è materia che diviene o natura che evolve e che il cuore di questo divenire è l’economia la quale così è stata assunta non solo come base materiale della società ma anche come sua principale base spirituale. Analisi insufficiente, colma di pregiudizi, guidata da strumenti metafisici inadeguati, per cui è stato subordinato o separato lo spirito dalla materia e strutturalmente negata la soprannatura a favore della sola natura: direttamente attraverso la persecuzione violenta diretta o indirettamente attraverso la seduzione e l’occupazione di spazi e tempi. Secondo il nostro salesiano, il loro errore come quello di molti che li hanno seguiti e riaggiornati è stato proprio quello di aver posto come base spirituale della società una base che è solo materiale, l’economia appunto e di aver completamente o anche solo parzialmente ignorato il valore ontologico degli enti naturali a partire dall’uomo. Di qui l’ambizioso proposito del sacerdote piemontese di scoprire il vero logos nascosto all’interno della realtà storica. E’ questo un passaggio decisivo da comprendere profondamente: l’approdo al vero Assoluto della storia riconosciuta come realtà non è la composizione ordinata di un insieme di valori etici scelti in modo arbitrario, né il risultato di una rivelazione religiosa e nemmeno l’applicazione di una qualche dottrina costruita a priori a tavolino, è invece l’esito di una indagine metafisica rigorosa, coerente e completa che a partire dal dato di esperienza storico ci porta per esplicitazione, cioè attraverso una sorta di mostrazione [7] aristotelica, a scoprire il dover essere ontologico della realtà storica, dover essere che Demaria chiama tecnicamente essenza archetipa [8] . Questa ricerca del vero logos comporta inevitabilmente il confronto con la verità, la sua comprensione e la sua accettazione con tutti i rischi che questo comporta: la verità è più grande, nessuno possiede la verità, la verità bisogna servirla etc… Tutte espressioni che “i prudenti” giustamente manifestano per sottolineare la portata del problema ma che non lo risolvono anzi talvolta lo acuiscono cedendo spesso anche senza disputa alle “verità” sostenute da altri. A tal proposito Demaria infatti scrive: “ non si tratta né di una contrapposizione manichea, né di un accaparramento trionfalistico della verità. La verità bisogna servirla, ma per servirla bisogna conoscerla e riconoscerla […] non c’è insulto peggiore alla verità che rinnegarla o misconoscerla, col pretesto antitrionfalistico, di chi vi contrappone il proprio io con il sofisma dell’eterna ricerca ” [9] . Prosegue il Nostro: “ Oggi si preferisce il fare al pensare. Più che alla verità, che con falsa umiltà si proclama di «non possedere», si crede all'attività, ad un qualsiasi attivismo, riassorbito nell'attività personale con un totale rifiuto della sua rifusione razionale e cristiana nella prassi, anche se poi la presunta attività personale viene abbandonata alla deriva di tutte le prassi [10 ] .” E ancora: “ il discorso sulla verità oggi è impopolare. Si prova una certa nausea esistenzialista e pseudodemocratica nei suoi confronti. Si ha l’impressione o la convinzione che la verità sia diventata sinonimo di dittatura intellettuale, mentre l’errore sarebbe sinonimo di libertà e democrazia. [11 ] ” Richiami forti quelli demariani ad un impegno intellettuale coraggioso che pur nell’umiltà dell’approccio, teso ad evitare la tentazione arrogante di una saccenteria intellettuale, inclina deciso alla sfida della ricerca metafisica realistica integrale, opponendosi così alla non meno grave tentazione di una pusillanime rinuncia a priori. Ma quale può essere il criterio per individuare l’ideoprassi vera , il logos nascosto nel libro della storia che completa quello del libro della natura? [12] E’ questo se ricordate il quarto quesito proposto all’inizio. Demaria risponde schiettamente a questo interrogativo: “ Il problema della verità dell’ideologia si pone alla sua radice. Passa dalla prassi all’ideologia; dall’ideologia alla metafisica; e da una metafisica qualsiasi a una metafisica dinamica. Con ciò torna il problema di fondo: qual è la verità? Qual è la metafisica vera? […] la metafisica dinamica falsa è quella che genera un’ideologia ateo-materialista come anima della prassi; e la metafisica dinamica vera è quella che genera una ideologia come anima della prassi, non ateo-materialista […] che equivale all’affermazione dell’assoluto teo-spiritualista [13] ”. Sembra un continuo rimando ma di fatto non è possibile individuare l’assoluto vero della realtà storica, cioè quello teo-spiritualista, senza un’adeguata metafisica che per Demaria non può che essere la metafisica realistico integrale, ogni altra metafisica dinamica invece conduce all’assoluto ateo-materialista anche se a professarla è un credente, e quand’anche una metafisica dinamica non realista volesse escludere l’approdo ateo-materialista si fermerebbe a metà strada o peggio trascinerebbe alla meta che credeva di rinnegare [14] . Dai frutti conoscerete l’albero è l’insegnamento che porta a questa certezza. Ma per quale ragione è proprio quello teo-spiritualista l’assoluto vero della realtà storica? Qui il discorso giunge al suo compimento e trova la sua trattazione piena nel secondo dei tre volumi della trilogia. La constatazione è che la Realtà Storica è un ente vivo la cui forma non può che essere viva, una forma materiale inerte infatti non potrebbe che essere morta e restare morta. Forma viva e anche libera. Le uniche forme con queste caratteristiche sono la forma umana e quella divina, ma la forma umana non può che animare enti dinamici fenomenici e contingenti e non può in alcun modo rendere conto né di sè stessa, né di tutta la realtà creata. L’immediata e spontanea percezione metafisica dell’essere creaturale , a partire dal proprio io, è invece l'esperienza prima che mostra ad ognuno la propria insufficienza ad esistere da sè e rimanda quindi in modo razionale alla necessità dell'esistenza di Dio Creatore [15] ; senza questo fondamento trascendente tutto l’impianto metafisico realistico integrale fin qui presentato, resterebbe privo del necessario Garante [16] . L’unica forma viva perciò capace di dominare tutta la realtà passata, presente e futura sia naturale che storica non può che essere una forma divina; forma divina che per poter dominare la storia rispettandone la libertà deve poter agire anche dal di dentro e perciò essere ad un tempo non solo trascendente ma anche immanente, da cui l’approdo metafisico all’assoluto teo-spiritualista [17] . Ciò comporta in prima battuta per la forma sociale vera i tre presupposti negativi della non subordinazione dello spirito alla materia, della non separazione dello spirito dalla materia e della non separazione della natura dalla soprannatura [18] e in seconda battuta i suoi presupposti positivi e cioè la sua universalità, necessità, assolutezza e attualità [19] . Ho delineato in estrema sintesi il percorso filosofico demariano cui appartengono conseguenze pratiche impressionanti, la più importante delle quali è questa: senza adeguato strumento metafisico è impossibile mobilitare nella storia l’ideoprassi vera, non è cioè possibile la costruzione di una convivenza umana veramente funzionale. La metafisica assume così il suo valore concreto postulato nell’ultimo dei quesiti che ho posto all’inizio di questo lavoro. La prima, concreta e vitale esigenza è per questo motivo la formazione permanente di metafisici realistico integrali capaci di indirizzare la costruzione della società e per ciò è necessario e non più rimandabile una cattedra universitaria specifica di metafisica realistico integrale e a cascata di ideoprassiologia. Per questa via anche politica ed economia troverebbero il loro metodo e gli operatori economici, a partire dagli imprenditori, guide sempre più adeguate. La piramide dei bisogni materiali, relazionali e spirituali soprannaturali individuata anche dai più acuti economisti [20] , riceverebbe una solida pezza d’appoggio metafisica con il giusto indirizzo per evitare perniciose deviazioni verso false sirene progressiste o di contro verso ristagni statici economicamente insostenibili e impotenti a resistere al costruirsi dinamico della storia. La cultura della vita (statica e dinamica), della famiglia stabile, degli autentici valori umani, del rapporto oggettivo con le altre religioni, della libertà a servizio del bene, della persona come cellula viva attiva del corpo sociale, dell’autentica convivenza umana pacifica a livello universale avrebbero non solo diritto di esistenza sul piano culturale ma anche un concreto efficace rilancio. [1] T. Demaria, 2° Vol.,Metafisica della Realtà Storica, Ed. Costruire, Bologna 1975, p. 188. [2] T. Demaria, Metafisica e Metodo, da raccolta articoli rivista Nuove Prospettive. [3] S. Fontana, La sapienza dei medievali, Fede&Cultura, Verona 2018, p. 134 [4] T. Demaria, La Società Alternativa, Ed. Il Segno, Verona 1982, p. 15 [5] T. Demaria, La società Alternativa, ed. Il Segno, Verona 1982, p.19 [6] T. Demaria, Cristianesimo e realtà sociale, Ed. Villa Sorriso di Maria, Varese, 1959, p.47: “cosa è l’idelogia: è la visione dinamica, sintetica e concreta della vita e del mondo che si traduce nella teoria della pratica e nella pratica della teoria!” [7] G. Reale, Guida alla lettura della metafisica di Aristotele, Laterza Bari, 2004, p. 33 [8] T. Demaria, 1° Vol. Ontologia realistico-dinamica, Ed. Costruire, Bologna 1975, p. 165 [9] T. Demaria, 5° Vol. Sintesi Sociale cristiana, Ed. Costruire, Bologna 1975, p. 12 [10] T. Demaria, 5° Vol, Sintesi Sociale Cristiana, Ed. Costruire, Bologna 1975. p. 407. [11] T.Demaria, 4° vol. L’ideologia cristiana, Ed. Costruire, Bologna 1975. p. 232 [12] T. Demaria, Sinossi 1984, dispensa convegno Roma, 1984, p.10 [13] T.Demaria, 4° vol. L’ideologia cristiana, Ed. Costruire, Bologna 1975. p. 234 [14] Ivi, p. 235 [15] T. Demaria, 2° Vol, Metafisica della realtà storica, Ed. Costruire, Bologna 1975, p. 200- G. Zamboni, La persona umana, Vita e Pensiero, Milano 1983, p. 485 e 487. [16] T: Demaria, La società alternative, ed. Il Segno, Verona,1982, p. 18 [17] Ivi, p. 226 [18] T.Demaria, 5° vol. Sintesi sociale cristiana, Ed. Costruire, Bologna 1975. p. 272 [19] T.Demaria, 5° vol. Sintesi sociale cristiana, Ed. Costruire, Bologna 1975. p. 278 [20] Si veda relazione del prof. Zamagni in https://www.nuovacostruttivita.it/quali-scienze-sociali-per-il-cambiamento-depoca in occasione del convegno online di Nuova Costruttività, il 20 ottobre 2022: Quali scienze sociali per il cambiamento d’epoca.
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