IL DILEMMA DELLA MORALE NEL TEMPO ATTUALE – parte 3 – di Piergiorgio Roggero
Il processo psicologico
Dal punto di vista psicologico la forza delle convenzioni e convinzioni che abbiamo visto è tale da oltrepassare la loro dimensione morale e divenire costitutive dell’identità stessa della comunità e della persona, contribuendo di fatto alla definizione delle identità dei popoli.
Poiché le usanze e le norme vengono comprese come il baluardo contro l’estinzione fisica e storica della comunità, la loro negazione, che avviene implicitamente nelle culture con convenzioni diverse, diviene una minaccia all’identità stessa della comunità.
La negazione dei propri costumi viene vissuta più o meno consapevolmente come la negazione esistenziale della comunità e perfino della identità personale, del proprio posto nel mondo, del proprio diritto di esistere.
Questo sublimazione e fissazione delle convenzioni morali nella identità culturale e personale appare avere la funzione di potenziare ulteriormente l’atteggiamento difensivo di tali usanze e quindi la loro forza morale, ma sfocia in una importante seri di conseguenze.
Se da una parte l’enorme costo e rischio di una guerra invita a cercare la pace, d’altra parte le culture straniere divengono una minaccia, le usanze dello straniero divengono immorali, aprendo le porte al disprezzo ed offrendo motivazioni e giustificazioni a discriminazioni, aggressioni, guerre, conquiste, saccheggi e stermino.
Queste tensioni distruttive nella storia sono state progressivamente moderate, ma nel mondo occidentale sono rimaste ben presenti sino alla seconda guerra mondiale e, nello sfondo, sostanzialmente sino agli anni ’70. Basti ricordare che la condanna della guerra è divenuta comune atteggiamento solo dopo il secondo conflitto mondiale e che la considerazione per le minoranze è divenuta culturalmente significativa dopo gli anni ’60, e questo solo nel mondo occidentale.
Il processo di razionalizzazione e la funzione morale della verità
Dal punto di vista razionale le culture statico sacrali attivano un processo fondativo razionale della morale che avviene attraverso la ricerca e l’accumulo di una verità coerente con la morale e la religione che definisca i cardini dell’essere, cioè di ciò che permane, che corrisponde esistenzialmente a ciò che non muore.
E’ significativo il fatto che fino a tutta la scolastica, Tommaso d’Aquino incluso, nella battaglia metafisica tra il “panta rei”, tutto cambia, e “l’essere è, il non essere non è”, ci sia stata una decisa prevalenza di quest’ultimo.
L’origine di tale metafisica appare in relazione con l’origine stessa della conoscenza, cioè il primordiale bisogno dell’uomo di non essere espulso dal tutto, la primordiale necessità di vivere.
Si può riconoscere nella metafisica la presenza della teorizzazione di un diritto di esistere, il tentativo di trovare con la ragione il posto dell’uomo nel tutto, e con esso la sua giustificazione, cioè il luogo dove gli è permesso vivere.
Questa ricerca della verità è chiaramente la ricerca di una verità statica e fondativa, con quella caratteristiche di dualità ed assolutezza imposte dalla radicalità delle regole necessarie a far fronte all’incombenza della morte.
Naturalmente la metafisica e la verità, specie grazie alla teologia, si elevano ben oltre questa primordiale necessità, ma, fino a Demaria, senza staccarsene (se ne staccano solo filosofie non realiste). Così che quando si torna in campo morale, la funzione morale di tale verità nelle culture statico sacrali è il discernimento del tollerabile e dell’intollerabile, razionalmente ridefinito come il vero ed il falso e, sempre in coerenza, religiosamente ridefinito come il giusto e l’empio, il comandamento e il peccato.
Nella prossima Newsletter prenderò in esame il terzo processo.
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