L’impresa organico-dinamica 2 di T. Demaria - Introduzione di Luca Cipriani

Redazione • mag 11, 2019

Introduzione   di Luca Cipriani

A cosa serve l’impresa industriale?

A produrre un profitto economico per i suoi dirigenti e azionisti? Ad affermare il dominio imprenditoriale di uno stato desideroso di esportare i propri valori? A trasformare con il lavoro l’energia della natura per consentire la vita dell’umanità?

Avevamo iniziato a trattare  il tema dell’impresa organico-dinamica   in un precedente articolo e ora completiamo l’argomento riportando per intero il breve e intenso studio di Tommaso Demaria in cui egli spiega la differenza fra i tre tipi di impresa possibili e che in qualche modo rispondono alle domande appena poste:

  • Impresa capitalista
  • Impresa comunista ( o socialista)
  • Impresa organico dinamica

Come vedremo Demaria  descrive  i tre elementi che giocano a qualificare il tipo di impresa e questi sono sempre presenti in tutti i tipi di impresa.

La differenza fra i tre tipi di impresa consisterà perciò nella prevalenza di uno di questi tre fattori.

Quali sono questi tre fattori comuni?

I fattori comuni ai tre tipi di impresa sono questi:

  • Il capitale (denaro, impianti, materie prime)
  • L’attività imprenditoriale (qualunque ne sia il titolare)
  • Il lavoro ( in particolare quello dipendente)

La prevalenza di uno di questi tre fattori determina il fatto che un’azienda sia capitalista, comunista o organico-dinamica.

Il giudizio apparentemente sorprendente è che per Demaria è proprio l’attività imprenditoriale la caratteristica della impresa comunista.

E’ un’affermazione che a prima vista ci interroga ma che in realtà ancora oggi trova la sua conferma in un fatto storico macroscopico e cioè l’affermarsi della Cina come potenza economica a livello mondiale.

La Cina infatti è di fatto ancora oggi politicamente comunista

e anche dal punto di vista economico mantiene la medesima impostazione a causa della prevalenza imprenditoriale dello stato nella proprietà delle attività economiche, cosa per cui non è di fatto presente al suo interno un vero libero mercato.

In Cina si è dunque storicamente realizzato un nuovo modello di stato-imprenditore in virtù del quale esso appoggia, sostiene e finanzia le proprie attività economiche pseudo-private in vista di una dichiarata ed esplicita conquista economica del mondo (ma non solo economica).

 

Questa conquista passa sfruttando le maglie larghe del mercato globale capitalista per il quale l’unica cosa che conta è garantirsi capitali e risorse a prescindere dai motivi di chi li conferisce.

 

Scontato è invece la prevalenza strutturale del capitale nell’impresa di tipo capitalistico.

 

La difesa del capitale a scapito del lavoro porta l’impresa capitalista a investire sempre di più in automazioni che riducono la necessità del lavoro umano e a delocalizzare in aree a basso costo di manodopera e a bassa tassazione.

 

Democratici e repubblicani, pur con le dovute differenze, rispondono nei fatti alla costruzione del medesimo tipo di società, quella capitalista appunto, la quale porta in sé una conflittualità strutturale e permanente tale da aver reso la competitività economica un dogma imprescindibile su scala mondiale.

In questo contesto la difesa di valori umani, ambientali e anche religiosi pur validi in sé stessi, rischiano di non andare oltre un significato paraideologico di facciata- come direbbe il nostro Demaria – capace di dare al più una mano di vernice superficiale per rendere un po più soft la durezza di un’economia capitalista che in realtà, nella sua essenza, non vuol mutare affatto.

Veniamo infine al fattore lavoro.

Il fattore lavoro contraddistingue il tipo di impresa dinontorganica e con una particolare attenzione al lavoro dipendente anche se non in modo esclusivo naturalmente e vedremo tra poco perché.

Il lavoro, quello dipendente in particolare, è infatti  per Demaria “espressione ontologica” della persona cellula che si mette a servizio dell’impresa in vista del bene comune non solo dell’impresa ma anche dell’intera società.

Il lavoro va inteso dunque come lavoro costruttivo di una realtà globale unitaria, viva e vitale e mai come lavoro fine a sé stesso limitato al proprio esclusivo tornaconto personale benché talora limitato per interesse da necessarie integrazioni positive sulla società .

In questo modo anche il lavoro così detto autonomo o indipendente (imprenditori, liberi professionisti, p.iva etc…)  non è fine a sé  stesso ma di fatto risulta essere sempre “dipendente” da una logica costruttiva universale che va molto oltre i limiti della propria impresa.

Anche l’imprenditore, il professionista e la semplice partita iva è in definitiva ontologicamente a servizio del bene comune e quindi della vita dell’intera società e per questo motivo anche l’imprenditore, il professionista e la partita iva è persona-cellula.

Questa impostazione dell’impresa è realmente capace di stare con efficacia nell’economia reale?

Le quattro caratteristiche che Demaria individua come tipiche dell’impresa dinontorganica ci fanno comprendere che abbiamo di fronte una concezione realistica e anche reale dell’impresa, reale nel senso che alcune esperienze in questo senso sono già state fatte.

Vediamo subito i quattro caratteri dell’impresa dinontorganca e poi ne indicheremo qualche concreta ricaduta:

  1. Carattere trans-economico
  2. Carattere umanistico
  3. Carattere partecipativo
  4. Carattere della costruttività  

Il carattere trans-economico ci dice che l’impresa va oltre il suo valore economico, essa costruisce  la vita sociale e determina anche il suo rapporto con il territorio. Per questo la politica deve progettare e mantenere lo sviluppo industriale locale e limitare il fenomeno della dislocazione industriale ai soli casi veramente necessari.

 

Teniamo sempre in conto che lo sviluppo organico-dinamico di un territorio è legato ontologicamente ad un modello di economia industriale.

 

Il carattere umanistico ci consente di valorizzare la persona come cellula viva e protagonista dell’azienda che si pone in alternativa alla persona come ingranaggio tipica dell’impresa capitalista e comunista. Questo richiede una profonda maturazione culturale non solo da parte dell’imprenditore ma anche da parte del lavoratore e del rispettivo sindacato.


Il carattere partecipativo ci pone di fronte al lavoratore che porta con sé il titolo ontologico e non solo etico alla partecipazione. Il lavoratore che partecipa strutturalmente alla vita dell’impresa diventa una risorsa per tutti e l’azienda stessa diviene più efficiente. I risultati tangibili dei sistemi di qualità che si appoggiano a questo titolo sono senz’altro un modello da replicare in ogni impresa soprattutto a partire da piccole realtà. Anche la proposta dei distretti di sviluppo locale indicati dal civismo e che riprendono i concetti delle mutue di fine ‘800 rientrano in questa logica di partecipazione.


Il carattere della costruttività fa emergere la funzione dell’impresa in ordine alla costruzione della società globale. Questo orienta l’azienda che vuole sopravvivere nel lungo periodo  a soddisfare i bisogni veramente reali della società in cui si trova ad operare. Focalizzare il proprio brand e specializzarsi in nicchie di mercato è il passo realistico che molte piccole imprese dovrebbero fare in questo momento.


In virtù di queste caratteristiche l’azienda dinontorganica può dunque stare con efficacia ed efficienza nell’economia reale, anche se, lo dobbiamo dire, la sua capacità di competere con le imprese di tipo capitalistico in senso stretto si deve svolgere su altri terreni: un monovolume a 7 posti non può competere in velocità con una macchina sportiva, ma compete alla grande e vince se l’obiettivo non è la velocità ma il trasporto di una famiglia numerosa.


A questo punto chiariti questi pochi aspetti conviene affrontare  in modo sistematico lo studio dell’impresa come realtà organica attingendo direttamente dal testo originale di Demaria che proponiamo di seguito per intero.   

L’IMPRESA ORGANICO-DINAMICA – parte 2 – di Tommaso Demaria

I – Che cos’è ? …

L’impresa organico-dinamica è l’impresa industriale qualificata
ideologicamente(**). Spieghiamo.

1) Impresa industriale: si distingue dall’impresa preindustriale,·e
rappresenta il fattore determinante della rivoluzione industriale.

2) La rivoluzione industriale segna il passaggio storico dallo
statico al dinamico, ponendo l’umanità di fronte alla necessità di
costruire una nuova realtà storica e una nuova società.

3) La. spinta alla costruzione è data dall’energia ideologica
(corrispettivo dell’energia nucleare in campo fisico), come spinta
autocostruttiva della realtà storica, e dalla teorizzazione di
tale energia in funzione della prassi.

4) La spinta autocostruttiva della nuova realtà storica è un dato
di fatto evidente. È altrettanto evidente che tale spinta si
risolve in una energia selvaggia, che va teorizzata per poter
essere utilizzata.

5) L’ideologia come anima della prassi implica appunto la
teorizzazione di tale energia selvaggia per utilizzarla a
costruire la nuova società.

6) L’impresa industriale (in tutte le sue espressioni) è la prima
generatrice di quell’ energia selvaggia che sbocca nella spinta
autocostruttiva della nuova realtà storica. E dunque è la prima
interessata alla teorizzazione di tale energia in ordine alla
prassi.

7) Di lì la necessità della qualifica ideologica dell’impresa
industriale.

 

II – Qualifica ideologica dell’impresa.

 

Ideologicamente l’ impresa industriale si qualifica secondo le tre ideologie fondamentali, laicista, marxista, cristiana (ben distinte dalle altre «subideologie»), nel modo seguente.

1) Prima qualifica : impresa industriale liberalcapitalista (in funzione del profitto e del potere economico e finanziario).

2) Seconda qualifica : impresa industriale statalcollettivista (in funzione del potere politico).

3) Terza qualifica: impresa industriale organico-dinamica e più esattamente dinontorganica (in funzione della dinontorganicità, come espressione massima della

socialità, a cominciare dalla “socialità” intesa come ”economia per l’uomo”).

NB: la qualifica ”ideologica” dell’impresa industriale porta con sè un doppio significato:

a) un significato ontologico, per cui l’impresa industriale, qualificata ideologicamente in modo diverso,

b) un significato dialettico, per cui l’impresa industriale, qualificata ideologicamente in modo diverso, obbedisce ad una dialettica ideologica diversa, e ideologicamente costruisce una società diversa.

III – Confronto ideologico e dialettico.

A) Fattori comuni dell’impresa: fattori dell’impresa industriale sono sempre gli stessi: capitale, lavoro, attività imprenditoriale. Sono i fattori strutturali comuni di essa.

a) Il capitale. (denaro; impianti, materie prime) è l’elemento strutturale che detiene oggettivamente il primato.

b) Il lavoro ( dipendente ) è il fattore strutturale che detiene il primato “soggettivo”.

c) L’attività imprenditoriale {qualunque ne sia il titolare), è l’elemento strutturale primario sul piano organizzativo-funzionale.

B) Confronto ontologico.

I fattori comuni dell’ impresa industriale di indole puramente “strutturale”, non precisano la realtà ontologica di essa.

1) La realtà ontologica dell’impresa viene precisata dalla qualifica ideologica dell’impresa stessa, che ne specifica il significato ontologico.

2) Tale significato ontologico emerge dal fattore “strutturale” privilegiato da da parte dell’ideologia qualificante. Come segue:

  • a) l’ideologia liberalcapitalista privilegia il fattore “capitale” conferendo    all’impresa un significato ontologico capitalista(= impresa capitalista);
  • b) l’ideologia marxista privilegia il fattore “attività imprenditoriale” (il cui “soggetto è lo Stato), conferendo all’impresa un significato ontologico statalcollettivista (= impresa statalcollettivista);
  • c) l’ideologia dinontorganica_ privilegia il fattore strutturale “lavoro” come espressione ontologica, della persona cellula, conferendo all’impresa un significato ontologico dinontorganico (= impresa dinontorganica).

3) Il confronto ontologico si conclude valutando le somiglianze e le differenze, in questo modo: rimane la SOMIGLIANZA STRUTTURALE fra le tre imprese combinata con una irriducibile DIFFERENZA ONTOLOGICA, che fa delle tre imprese, tre realtà profondamente diverse.

4) La radice della differenza sta nel fattore strutturale privilegiato, che per l’impresa dinontorganica non è più il capitale né tanto meno l’imprenditore «Stato», ma è il fattore lavoro, come espressione della persona-cellula , e dunque la “persona-cellula”.

C) Significato e confronto dialettico.

La qualifica ideologica dell’impresa non ha solo valore ontologico, ma anche dialettico.

1) La qualifica ideologico-dialettica dell’impresa mobilita l’impresa stessa per la costruzione della società. L’impresa diventa così il fattore costruttivo determinante della società, insieme all’ideologia come anima della prassi che la qualifica.

2) Si stabilisce fra l’impresa, la società e l’ideologia qualificante, una causalità reciproca, il cui meccanismo è il seguente: l’ideologia qualifica l’impresa. L’impresa così qualificata costruisce la società. La società costruita in quel dato senso alimenta e crea lo spazio all’impresa.

3) Applicazione.

  • a) L’ideologia laicista liberalcapitalista giustifica l’impresa liberalcapitalista, che s’inserisce nella costruzione di una società laicista liberalcapitalista come società del benessere, dei consumi, delle richieste individuali utilitarie. Questa a sua volta asseconda l’impresa liberalcapitalista, l’alimenta, ne diventa succube.
  • b) L’ideologia marxista-collettivista qualifica e giustifica l’impresa statalcollettivista, in funzione della società collettivista ateo-materialista. Questa a sua volta fa da supporto all’impresa statalcollettivista (che «ideologicamente» è sempre tale).
  • c) L’ideologia dinontorganica qualifica, giustifica e anima l’impresa dinontorganica, che s’inserisce nella costruzione della società dinontorganica come fattore determinante. Questa a sua volta crea lo spazio dell’impresa dinontorganica, e l’assume come un momento essenziale della propria costruzione, non solo sotto l’aspetto economico, ma in funzione della stessa persona umana sempre però come “persona cellula”.

4) Il significato dialettico dell’impresa (che ha sempre·valore ideologico) emerge dal suo inevitabile confronto con la società da costruire dal cui contesto non può evadere, e nel cui contesto si pone come fattore determinante.  Questo confronto dialettico societario, in quanto basato su una «identica» qualifica ideologica, ha valore costruttivo: l’impresa concorre a costruire e consolidare quel dato tipo di società.

5) Il confronto dialettico dell’impresa può anche stabilirsi tra qualifiche ideologiche «diverse». Ne nasce un confronto dialettico di natura conflittuale, sia rispetto all’impresa che alla società.

6) Il confronto dialettico tra impresa dinontorganica da una parte e impresa liberalcapitalista o statalcollettivista dall’altra, si risolve in confronto dialettico conflittuale (che però non è sinonimo né di “rivoluzione” né di “conflittualità permanente”, ma di una linea ideologica costruttiva «diversa»; il nostro imperativo è: COSTRUIAMO IDEOLOGICAMENTE IN MODO DIVERSO, E AVREMO UNA IMPRESA E UNA E UNA SOCIETA’ DIVERSA, senza rivoluzione)-

IV – Tipo ideologico e modello subideologico d’impresa.  

1) Noi distinguiamo fra tipo di società, che ha valore ideologico e modello di società che ha valore subideologico. Cosi dobbiamo distinguere tra tipo ideologico di impresa e modello subideologico di essa.

2) La distinzione tra tipo e modello d’impresa non ha valore “strutturale”, Strutturalmente le imprese danno luogo a una serie illimitata di categorie. Ma ha valore ideologico,a cominciare dal tipo di impresa, che richiama direttamente la qualifica ideologica dell’impresa stessa: tipo d’impresa liberalcapitalista; tipo d’impresa statalcollettivista; tipo d’impresa dinontorganica.

3) Il tipo di impresa ha valore assoluto, immutabile e universale. Non può cambiare, a meno di cambiare la sua qualifica ideologica. Ma non può “incarnarsi” che nel modello subideologico d’impresa, per sua natura contingente e mutevole.

4) Il modello d’impresa in quale contesto ideologico si pone?… Nel contesto dell’ideologia egemone da una parte, e del modello di società prevalente.

Le ideologie egemoni possono essere tre. Di fatto oggi sono queste due:

  • a) ideologia liberalcapitalista in sede economica (e di politica economica);
  • b) ideologia marxista in sede sociale (e di politica sociale).

Le subideologie possono essere l’incarnazione di una sola ideologia, o l’espressione di ibridazioni ideologiche.

5) Conseguenza del suddetto “pluralismo” (non temperato dalla presenza operante dell’ideologia dinontorganica cristiana) la conflittualità e la problematicità dell’impresa si accentua. Condizione sempre più, indispensabile per affrontarla: è una chiara visione ideologica dell’impresa stessa tanto per la teoria che perla pratica, a cominciare dalla nostra visione ideologica dell’impresa, che è quella dinontorganica.

V – visione dinontorganica dell’impresa  

Questa visione non è estrapolabile dall’intero contesto dell’ideologia dinontorganica come anima della prassi costruttiva della società dinontorganica ad ogni livello e in ogni dimensione (fino alla dimensione mondiale. La ragione si è che l’impresa non è più concepibile come una realtà a se stante, in un rapporto di puro condizionamento attivo e passivo con la società.

1) L’impresa dinontorganica è parte costitutiva ontologicodinamica, e dunque fattore strutturale costruttivo, della stessa società dinontorganica ad ogni livello e dimensione. Bisogna pertanto realizzarla e mobilitarla come tale. Ma come?…

2) Prima dei procedimenti tecnici (che si pongono a livello subideologico e strutturale), si impongono i procedimenti propriamente ideologici che si possono riassumere in tre momenti

  • a) promuovere il più possibile la presa di coscienza ideologica dinontorganica;
  • b) promuovere la presa di coscienza dei caratteri essenziali dell’impresa dinontorganica;
  • c) in sede di modello d’impresa (che è quel che è!…) agire e reagire il più possibile secondo la dialettica dinontorganica, che è logica non già della «contraddizione», ma della costruzione organico-dinamica dentro e fuori dell’impresa, non foss’altro che come sensibilizzazione in tal senso.

 

I caratteri essenziali a valore ideologico ontologico-dinamico dell’impresa dinontorganica si possono ridurre ai seguenti.

 

  • a) L’impresa dinontorganica rimane “strutturalmente” di natura economica, ma «ideologicamente» diventa di natura «transeconomica», in quanto l’organismo dinamico «impresa» è una realtà ontologica nuova, che si qualifica non più in base all’economia (capitale, lavoro, produzione di beni e servizi, ecc.), ma in funzione dell’uomo, e uomo nella sua realtà ontologico-dinamica di «persona-cellula», e non già ridotto ad esigenza etica.
  • b) Tale qualifica assume quindi un significato ontologicodinamico vero e proprio, in quanto la qualifica transeconomica-umanistica dell’ impresa dinontorganica non è più di natura etica, derivante dalla persona umana autonoma e sovrana; ma (insistiamo) deriva dall’uomo come persona-cellula dell’organismo dinamico «impresa» e della stessa società dinontorganica.
  • c) Come persona-cellula a valore ontologico-dinamico, dell’impresa e della società dinontorganica, il lavoratore porta con sé il titolo ontologico (e non solo etico) alla partecipazione. In tal modo l’impresa e la società dinontorganica risultano per loro natura partecipative, non già in un senso etico (o demagogico) qualsiasi, ma in virtù di una giustificazione ontologica e in un ben preciso senso ideologico, che è quello «dinontorganico».
  • d) L’impresa dinontorganica per il fatto che è transeconomica umanistica in senso dinontorganico cellulare, e partecipativa nel senso suddetto, assume pure una precisa funzione in ordine alla costruzione della società globale, che non è più soltanto funzione “produttiva”, o “creativa”, ma è funzione ideologica costruttiva della società dinontorganica stessa.

4) Questi caratteri essenziali dell’impresa dinontorganica – carattere trans economico, carattere umanistico organico-dinamicocellulare, carattere partecipativo, carattere della costruttività in senso ideologico dinontorganico -, insieme all’intera concezione ideologica dinontorganica (sempre intendendo l’ideologia come anima della prassi), impegnano i cattolici in un nuovo tipo di teoria e di azione anche in riferimento all’impresa.

Tale impegno nuovo non dispensa affatto dall’impegno religioso come tale (anzi, lo postula intensificato), come non dispensa dalla Dottrina sociale cristiana. Ma impone al inondo cattolico l’integrazione del proprio vivere religioso e della propria. azione politico-sociale, con l’ideologia dinontorganica cristiana come specifica anima della sua prassi, in campo profano e dunque in campo politico-sociale.

Senza tale adeguamento il mondo cattolico rimane fuori della realtà storica, e rischia di servire sempre peggio la propria causa (che deve coincidere con quella di Cristo), sia in campo religioso che in campo profano.

( don Tommaso Demaria )

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Autore: Redazione 25 apr, 2024
Il filosofo o lo studioso che si occupa di realismo integrale diviene di necessità anche un apostolo, perché l’impegno con l’essere della realtà storica lo rende persuaso della necessità della cultura-conoscenza come via necessaria all’azione politico-sociale [1] . E’ con questo spirito che mi accingo da filosofo non accademico a ripercorrere, con gli adeguati riferimenti bibliografici, i contenuti della relazione che ho tenuto un po’ a braccio il 21 marzo 2024 alla Pontificia Università Salesiana in occasione del convegno “ Tommaso Demaria: uno sguardo organico-dinamico sulla storia e sulla società .” L’essere della realtà storica appena accennato ci introduce al tema essenzialmente nuovo inaugurato da don Tommaso Demaria, essenzialmente diciamo ma non fenomenicamente poiché da questo punto di vista l’intuizione di molti ricercatori, per quanto non ancora riflessa a sufficienza, ha condotto molti a rendersi conto che il mondo in cui viviamo appare come una realtà globale, unitaria, interconnessa e in grado perciò di muoversi secondo logiche proprie e inesorabili che sfuggono perfino al controllo dei singoli potenti di turno. Discipline come la sociologia, la psicologia, le scienze dell’organizzazione ma anche la stessa economia rilevano da anni il fenomeno, tuttavia ancora manca alla cultura dominante una visione completa capace di dar conto di tutti gli aspetti in campo: materiali, relazionali, spirituali e metafisici. Lo scopo di questo discorso è quindi quello di stimolare una coscienza intorno all’essere della realtà, perché prima di agire occorre pensare e prima di pensare occorre essere, rendersi conto di essere e di vivere accanto ad altri esseri, perché l’essere precede l’agire non solo personale ma anche comunitario. Il percorso si articola in cinque passaggi che sono invero cinque domande: Di quale essere stiamo trattando? Una società ateo-materialista è in grado di prosperare o almeno sopravvivere? Cosa sono il pensiero unico, i grandi resets e il nuovo ordine mondiale di cui tanto si sente parlare? La ideologie sono tutte negative come tali oppure si deve tener conto del loro contenuto di verità? Possiamo indicare delle vie concrete? Sembra la prima una domanda fuori tempo massimo: a chi può mai interessare oggi un discorso sull’essere o sulla vita? La società liquida con i suoi deliri ha fatto evaporare ogni punto di riferimento stabile, ogni riscontro oggettivo: tutto cambia, tutto muta, tutto scorre, al più si può dire che tutto l’essere è il divenire stesso. Eppure la nebbia di una cultura nichilista pervasiva e invadente come quella moderna (per non dire modernista) non riesce a sopire completamente l’esigenza di essere, di senso e di significato che si scopre ancora incardinata nel cuore di ogni uomo. L’esperienza quotidiana carica di problemi enormi e di enormi opportunità ci catapulta nostro malgrado in un fluire di vicende storiche che non riusciamo a dominare e nemmeno a capire ma che in qualche modo contribuiamo a generare; il mondo va avanti anche con il nostro spesso inconsapevole sostegno e con logiche proprie; le leve del comando sono impersonali, occulte, segrete eppure reali, assegnate in modo oscuro ma lucido a guide concrete ma provvisorie e solo funzionali al perpetrarsi di un mondo che in fondo non vogliamo: la guerra torna a bussare inaspettata alla nostra porta. In questa profonda esigenza di essere, legata ad un perenne senso di malessere per un mondo che non capiamo, assume di nuovo un valore epocale tutta la riflessione di Demaria sulla Realtà Storica, tornando così potente, attuale e anzi necessaria. Quella che un tempo fu l’intuizione di un geniale metafisico oggi è esperienza concreta di molti uomini: la realtà storica appare davvero come un essere capace di vivere a agire a titolo proprio. La portata di questa intuizione comporta la richiesta teoretica di un’adeguata giustificazione: non ci può bastare il solo dato fenomenico anche se ormai di per sé evidente. Giustificazione che però non è possibile affrontare qui, ci basti per ora solo rilevare che alla griglia degli esseri oggetto della metafisica tradizionale e cioè l’uomo, la natura e Dio vi si aggiunge appunto anche l’essere della realtà storica che diventa tale, secondo il salesiano, a partire dalla rivoluzione industriale, imponendosi per di più come organismo dinamico vivo e perciò capace di vivere a agire a titolo proprio. [2] Sono affermazioni importanti che suscitano curiosità ma anche timori: se la realtà storica vive agisce a titolo proprio dove va a finire la libertà umana? La libertà, proprietà inalienabile della natura umana, è un bene prezioso e un dono esclusivo che ogni uomo e anche ogni società hanno ricevuto per scegliere cosa fare di sé stessi. Essa è talmente necessaria che la realtà storica come tale la esige a livello essenziale anche se purtroppo a livello esistenziale può accadere ed accade di fatto che la storia, animata da logiche contrarie al suo vero dover essere ontologico, finisca per negarla, reprimerla o falsarla, assoggettandola a scelte mortifere anziché vitali. Così avviene che se la realtà storica assume logiche contrarie alla sua vera natura e ciò avviene proprio in ragione della libertà umana, anche la comprensione di tutti gli altri esseri ne risulta influenzata e perfino deformata: la persona diventa fluida oppure un ingranaggio, la natura sfruttata o divinizzata, il Dio Creatore rifiutato o umanizzato, con enormi conseguenze sul piano dell’agire collettivo. Comprendere il vero dover essere della realtà storica diventa perciò imperativo decisivo proprio per poter orientare alla convivenza libera e funzionale la vita di miliardi di persone. Il negare questa prospettiva ci espone nostro malgrado ad un agire inconsulto e senza prospettiva e a lasciarci dominare dalla logica bruta di una materia orfana della forma vera, materia che per surrogazione finisce per alienare sé stessa nel ruolo di forma in una prassi senza senso perché in fondo senza retta dottrina, come direbbero i metafisici realisti di un tempo. Per questa via gli stessi cristiani e gli uomini di volontà buona [3] (cioè volontà orientata al bene) vanno a servire inconsapevoli la costruzione della società fondata sul materialismo che, secondo il salesiano, è l’anticamera dell’ateismo prima ontologico e poi religioso [4] . A questo punto qualcuno potrebbe obiettare che in fondo questo non è necessariamente un male, in fin dei conti anche le società ateo-materialiste, che sono quelle ormai realmente esistenti, possono funzionare se non bene almeno in modo accettabile. L’evidenza storica ci palesa tuttavia senza sconti che non è così e con questa affermazione iniziamo a rispondere alla seconda domanda. Gli “organismi mostro” incarnati dai sistemi capitalisti e comunisti e dai loro discendenti modernisti, fondati sull’assoluto ateo-materialista e così denominati da Demaria nel suo lungimirante testo La società alternativa [5] , stanno manifestando di nuovo oggi la rinnovata ferocia delle loro false premesse. In qualche modo essi vivono sempre a scapito di qualcos’altro: la natura, i poveri, la libertà, Dio stesso. E se queste società potessero anche risolvere (ma non possono!) gran parte dei problemi materiali che ci affliggono, resterebbe strutturalmente irrisolto il senso dell’esistere umano che fatalmente, rinchiuso nell’alveo della materia bruta, si tradurrebbe in un dramma suicida invece che in un’epica maestosa. E’ in questo clima illusorio che oggi si discute molto di pensiero unico, di grande reset, di nuovo ordine mondiale . Intanto mi viene da chiedere, perché cancellare tutto? Forse perché siamo talmente pieni di debito economico a livello mondiale che solo la sua cancellazione, con l’aiuto magari della guerra, può permettere di ripartire? E un’ipotesi che mi pare folle ma anche brutalmente realistica. Il martellamento mediatico proveniente da sponde spesso opposte ci dice altresì che non c’è una sola idea di “reset”, né una sola proposta di “pensiero unico”. Ce ne sono varie e in concorrenza tra loro, che si accusano a vicenda di complottismo, di seduzione, di violenza: capitalismo green, socialismo arcobaleno, socialismo capitalista, imperialismo misticheggiante (se non direttamente ateo-materialista almeno con un errato rapporto spirito/materia). Sono tante le prospettive di “Unico Ordine Mondiale” che si propongono come salvifiche. Ma tutto questo non è una novità , ciò che è cambiato sono solo le etichette, i nomi, le parole, ma la realtà che sottendono è sempre la medesima, quelle esplicitata dal nostro Demaria. L’esigenza di un nuovo ordine mondiale e di pensiero unico non sono che la riedizione aggiornata di quella pletora di ideologie, pseudoideologie e paraideologie che dalla rivoluzione industriale in poi cercano di dare un ordine al caos di una prassi diventata dinamica. Esse si scontrano, si fondono, si camuffano in un susseguirsi di morti e rinascite fino ad arrivare all’esito forse finale, denunciato da Benedetto XVI dell’ideologia del relativismo, che tutte le nega ma solo in fondo per affermare sé stessa, la più dogmatica. Ecco che quelle moderne, afferma Demaria, non sono più solo lotte fra popoli o nazioni ma lotte fra ideologie o meglio lotte fra ideoprassi. E in questa lotta reale per prevalere l’una sull’altra manifestano anche il loro tratto comune che le identifica e le inchioda: sono tutte prassi ontologicamente ateo-materialiste! Le uniche, ed è la storia a dirlo, che sono state in grado di portare l’umanità fin sull’orlo dell’auto-distruzione attraverso soprattutto la possibilità, oggi tornata concreta, della terza guerra mondiale nucleare. Eppure non si può fare a meno di una ideologia, cioè di una visione organica, integrale e coerente della vita umana che sappia coordinare l’agire di miliardi di persone; l’alternativa ad una qualche forma di ordine, ad una sorta prassi razionalizzata non è che la prassi selvaggia e il caos [6] . E’ stato questo l’intento della vita di Karl Marx ma anche dello stesso Adam Smith e di altri studiosi: scoprire la logica interna della storia. E cosa hanno concluso? Che la storia è materia che diviene o natura che evolve e che il cuore di questo divenire è l’economia la quale così è stata assunta non solo come base materiale della società ma anche come sua principale base spirituale. Analisi insufficiente, colma di pregiudizi, guidata da strumenti metafisici inadeguati, per cui è stato subordinato o separato lo spirito dalla materia e strutturalmente negata la soprannatura a favore della sola natura: direttamente attraverso la persecuzione violenta diretta o indirettamente attraverso la seduzione e l’occupazione di spazi e tempi. Secondo il nostro salesiano, il loro errore come quello di molti che li hanno seguiti e riaggiornati è stato proprio quello di aver posto come base spirituale della società una base che è solo materiale, l’economia appunto e di aver completamente o anche solo parzialmente ignorato il valore ontologico degli enti naturali a partire dall’uomo. Di qui l’ambizioso proposito del sacerdote piemontese di scoprire il vero logos nascosto all’interno della realtà storica. E’ questo un passaggio decisivo da comprendere profondamente: l’approdo al vero Assoluto della storia riconosciuta come realtà non è la composizione ordinata di un insieme di valori etici scelti in modo arbitrario, né il risultato di una rivelazione religiosa e nemmeno l’applicazione di una qualche dottrina costruita a priori a tavolino, è invece l’esito di una indagine metafisica rigorosa, coerente e completa che a partire dal dato di esperienza storico ci porta per esplicitazione, cioè attraverso una sorta di mostrazione [7] aristotelica, a scoprire il dover essere ontologico della realtà storica, dover essere che Demaria chiama tecnicamente essenza archetipa [8] . Questa ricerca del vero logos comporta inevitabilmente il confronto con la verità, la sua comprensione e la sua accettazione con tutti i rischi che questo comporta: la verità è più grande, nessuno possiede la verità, la verità bisogna servirla etc… Tutte espressioni che “i prudenti” giustamente manifestano per sottolineare la portata del problema ma che non lo risolvono anzi talvolta lo acuiscono cedendo spesso anche senza disputa alle “verità” sostenute da altri. A tal proposito Demaria infatti scrive: “ non si tratta né di una contrapposizione manichea, né di un accaparramento trionfalistico della verità. La verità bisogna servirla, ma per servirla bisogna conoscerla e riconoscerla […] non c’è insulto peggiore alla verità che rinnegarla o misconoscerla, col pretesto antitrionfalistico, di chi vi contrappone il proprio io con il sofisma dell’eterna ricerca ” [9] . Prosegue il Nostro: “ Oggi si preferisce il fare al pensare. Più che alla verità, che con falsa umiltà si proclama di «non possedere», si crede all'attività, ad un qualsiasi attivismo, riassorbito nell'attività personale con un totale rifiuto della sua rifusione razionale e cristiana nella prassi, anche se poi la presunta attività personale viene abbandonata alla deriva di tutte le prassi [10 ] .” E ancora: “ il discorso sulla verità oggi è impopolare. Si prova una certa nausea esistenzialista e pseudodemocratica nei suoi confronti. Si ha l’impressione o la convinzione che la verità sia diventata sinonimo di dittatura intellettuale, mentre l’errore sarebbe sinonimo di libertà e democrazia. [11 ] ” Richiami forti quelli demariani ad un impegno intellettuale coraggioso che pur nell’umiltà dell’approccio, teso ad evitare la tentazione arrogante di una saccenteria intellettuale, inclina deciso alla sfida della ricerca metafisica realistica integrale, opponendosi così alla non meno grave tentazione di una pusillanime rinuncia a priori. Ma quale può essere il criterio per individuare l’ideoprassi vera , il logos nascosto nel libro della storia che completa quello del libro della natura? [12] E’ questo se ricordate il quarto quesito proposto all’inizio. Demaria risponde schiettamente a questo interrogativo: “ Il problema della verità dell’ideologia si pone alla sua radice. Passa dalla prassi all’ideologia; dall’ideologia alla metafisica; e da una metafisica qualsiasi a una metafisica dinamica. Con ciò torna il problema di fondo: qual è la verità? Qual è la metafisica vera? […] la metafisica dinamica falsa è quella che genera un’ideologia ateo-materialista come anima della prassi; e la metafisica dinamica vera è quella che genera una ideologia come anima della prassi, non ateo-materialista […] che equivale all’affermazione dell’assoluto teo-spiritualista [13] ”. Sembra un continuo rimando ma di fatto non è possibile individuare l’assoluto vero della realtà storica, cioè quello teo-spiritualista, senza un’adeguata metafisica che per Demaria non può che essere la metafisica realistico integrale, ogni altra metafisica dinamica invece conduce all’assoluto ateo-materialista anche se a professarla è un credente, e quand’anche una metafisica dinamica non realista volesse escludere l’approdo ateo-materialista si fermerebbe a metà strada o peggio trascinerebbe alla meta che credeva di rinnegare [14] . Dai frutti conoscerete l’albero è l’insegnamento che porta a questa certezza. Ma per quale ragione è proprio quello teo-spiritualista l’assoluto vero della realtà storica? Qui il discorso giunge al suo compimento e trova la sua trattazione piena nel secondo dei tre volumi della trilogia. La constatazione è che la Realtà Storica è un ente vivo la cui forma non può che essere viva, una forma materiale inerte infatti non potrebbe che essere morta e restare morta. Forma viva e anche libera. Le uniche forme con queste caratteristiche sono la forma umana e quella divina, ma la forma umana non può che animare enti dinamici fenomenici e contingenti e non può in alcun modo rendere conto né di sè stessa, né di tutta la realtà creata. L’immediata e spontanea percezione metafisica dell’essere creaturale , a partire dal proprio io, è invece l'esperienza prima che mostra ad ognuno la propria insufficienza ad esistere da sè e rimanda quindi in modo razionale alla necessità dell'esistenza di Dio Creatore [15] ; senza questo fondamento trascendente tutto l’impianto metafisico realistico integrale fin qui presentato, resterebbe privo del necessario Garante [16] . L’unica forma viva perciò capace di dominare tutta la realtà passata, presente e futura sia naturale che storica non può che essere una forma divina; forma divina che per poter dominare la storia rispettandone la libertà deve poter agire dal di dentro e perciò essere ad un tempo non solo trascendente ma anche immanente, da cui l’approdo metafisico all’assoluto teo-spiritualista [17] . Ciò comporta in prima battuta per la forma sociale vera i tre presupposti negativi della non subordinazione dello spirito alla materia, della non separazione dello spirito dalla materia e della non separazione della natura dalla soprannatura [18] e in seconda battuta i suoi presupposti positivi e cioè la sua universalità, necessità, assolutezza e attualità [19] . Ho delineato in estrema sintesi il percorso filosofico demariano cui appartengono conseguenze pratiche impressionanti, la più importante delle quali è questa: senza adeguato strumento metafisico è impossibile mobilitare nella storia l’ideoprassi vera, non è cioè possibile la costruzione di una convivenza umana veramente funzionale. La metafisica assume così il suo valore concreto postulato nell’ultimo dei quesiti che ho posto all’inizio di questo lavoro. La prima, concreta e vitale esigenza è per questo motivo la formazione permanente di metafisici realistico integrali capaci di indirizzare la costruzione della società e per ciò è necessario e non più rimandabile una cattedra universitaria specifica di metafisica realistico integrale e a cascata di ideoprassiologia. Per questa via anche politica ed economia troverebbero il loro metodo e gli operatori economici, a partire dagli imprenditori, guide sempre più adeguate. La piramide dei bisogni materiali, relazionali e spirituali soprannaturali individuata anche dai più acuti economisti [20] , riceverebbe una solida pezza d’appoggio metafisica con il giusto indirizzo per evitare perniciose deviazioni verso false sirene progressiste o di contro verso ristagni statici economicamente insostenibili e impotenti a resistere al costruirsi dinamico della storia. La cultura della vita (statica e dinamica), della famiglia stabile, degli autentici valori umani, del rapporto oggettivo con le altre religioni, della libertà a servizio del bene, della persona come cellula viva attiva del corpo sociale, dell’autentica convivenza umana pacifica a livello universale avrebbero non solo diritto di esistenza sul piano culturale ma anche un concreto rilancio efficace. [1] T. Demaria, 2° Vol.,Metafisica della Realtà Storica, Ed. Costruire, Bologna 1975, p. 188. [2] T. Demaria, Metafisica e Metodo, da raccolta articoli rivista Nuove Prospettive. [3] S. Fontana, La sapienza dei medievali, Fede&Cultura, Verona 2018, p. 134 [4] T. Demaria, La Società Alternativa, Ed. Il Segno, Verona 1982, p. 15 [5] T. Demaria, La società Alternativa, ed. Il Segno, Verona 1982, p.19 [6] T. Demaria, Cristianesimo e realtà sociale, Ed. Villa Sorriso di Maria, Varese, 1959, p.47: “cosa è l’idelogia: è la visione dinamica, sintetica e concreta della vita e del mondo che si traduce nella teoria della pratica e nella pratica della teoria!” [7] G. Reale, Guida alla lettura della metafisica di Aristotele, Laterza Bari, 2004, p. 33 [8] T. Demaria, 1° Vol. Ontologia realistico-dinamica, Ed. Costruire, Bologna 1975, p. 165 [9] T. Demaria, 5° Vol. Sintesi Sociale cristiana, Ed. Costruire, Bologna 1975, p. 12 [10] T. Demaria, 5° Vol, Sintesi Sociale Cristiana, Ed. Costruire, Bologna 1975. p. 407. [11] T.Demaria, 4° vol. L’ideologia cristiana, Ed. Costruire, Bologna 1975. p. 232 [12] T. Demaria, Sinossi 1984, dispensa convegno Roma, 1984, p.10 [13] T.Demaria, 4° vol. L’ideologia cristiana, Ed. Costruire, Bologna 1975. p. 234 [14] Ivi, p. 235 [15] T. Demaria, 2° Vol, Metafisica della realtà storica, Ed. Costruire, Bologna 1975, p. 200- G. Zamboni, La persona umana, Vita e Pensiero, Milano 1983, p. 485 e 487. [16] T: Demaria, La società alternative, ed. Il Segno, Verona,1982, p. 18 [17] Ivi, p. 226 [18] T.Demaria, 5° vol. Sintesi sociale cristiana, Ed. Costruire, Bologna 1975. p. 272 [19] T.Demaria, 5° vol. Sintesi sociale cristiana, Ed. Costruire, Bologna 1975. p. 278 [20] Si veda relazione del prof. Zamagni in https://www.nuovacostruttivita.it/quali-scienze-sociali-per-il-cambiamento-depoca in occasione del convegno online di Nuova Costruttività, il 20 ottobre 2022: Quali scienze sociali per il cambiamento d’epoca.
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